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Per tornare a Ri-Educare

Essere genitori, padri e madri, è l’unico “mestiere” che tutti noi ci approntiamo a compiere senza alcuna preparazione. Un salto nel buio, che compiamo con un pizzico d’incoscienza facendo affidamento sul fatto che la natura e l’istinto ci facciano da guida nel complesso compito dell’educare.

Un fondamentale concetto riassunto dal libro di Massimiliano Pappalardo “Che fine hai fatto papà?”per la Feltrinelli Editori, presentato a Catania il 17 maggio, nella Chiesa di Sant’Orsola.

L’autore, lungi dal pensare il testo come una sorta di manuale, opera una disamina delle dinamiche che coesistono all’interno della famiglia. Con delicatezza delinea il percorso da seguire portando il lettore a riflettere sul peso educativo che le azioni quotidiane hanno nella formazione caratteriale e nello sviluppo cognitivo del futuro adulto. Indica l’atteggiamento, la «postura» da assumere all’interno del nucleo familiare visto come organismo vivente, dove l’unione delle parti genera il tutto.

Un “sistema complesso” in cui la cura e la valorizzazione del singolo sono l’unica azione da perseguire per portare avanti un sistema che funzioni.

Rispetto, fiducia, comunicazione verbale e non, amore, presenza, assertività, se giustamente dosati contribuiranno ad accrescere la consapevolezza nei figli della loro forza e unicità. In questo, il ruolo dei genitori vene visto come centrale dando ad ognuna delle parti il giusto valore e peso. E se nei primi anni di vita il ruolo della madre è predominante, quasi simbiotico con i figli, mentre il padre non può che essere di supporto attivo, delicato e amorevole, man mano che essi crescono la figura paterna emerge, prende forma, e si delinea come elemento cardine nell’educazione.

Come ci ricorda l’autore, l’ex-ducere «è l’atto attraverso il quale il maschio partorisce sé stesso come padre», traendo fuori responsabilmente «il vero sé dall’altro».

Ecco che il padre autorevole, che non ha paura di essere normativo, come scultore di Michelangiolesca memoria, trae, fa uscire fuori, l’adulto che è già dentro al fanciullo donandole identità e forza caratteriale. Diventa stella polare nell’età dell’incertezza, dell’adolescenza, in «quel sentirsi già e non ancora», dove risulta sempre più importante la presenza di una guida sicura che accompagni con discrezione il sentire dei figli, nel «desiderio reciproco di essere felici e di essere amati».

Il dono di sé e non di ciò che si ha è, pertanto, l’eredità più significativa che un genitore possa lasciare ai figli. Il donare il proprio tempo, rendendolo denso di significato, di attenzione, tempo visto come Kairòs e non come Chronos, lo trasmuta in cura, colorandolo emotivamente di piacevolezza e appagamento.

Quella cura che Battiato delinea magistralmente nei versi della sua canzone «Ti porterò soprattutto il silenzio e la pazienza. Percorreremo assieme le vie che portano all’essenza», l’autore lo riporta nel suo testo ritenendo fondamentale l’accompagnare, come atto necessario per dare inizio alla metamorfosi del divenire dei propri figli. Ma anche l’ascolto profondo, che diventa osservazione delle emozioni, è anello di congiunzione con essi, laddove il dolore ha una forza relazionale di mutuo supporto dei complessi stati d’animo adolescenziali. «Un condurre se stessi verso l’altro», per percorrere insieme con coscienza sentieri consapevoli di attenzione reciproca. Dove «l’altro è un cuore autonomo» che batte in base alle proprie armonie di vita e, come Eraclito insegna, nel suo essere diverso, opposto, genera nuove forme di accordo. 

Ecco che la famiglia nella sua interezza, innescando un processo interiore virtuoso, forgia, modella diventando palestra di crescita per formare individui adulti capaci di coltivare relazioni pure.

Il libro si conclude con un’appendice in cui l’autore rompe gli schemi, cambia registro, e come fotogrammi di una pellicola cinematografica – che tanto mi hanno ricordato il finale del film capolavoro “Nuovo cinema paradiso” di Tornatore – fa scorrere davanti al lettore il racconto della paternità visto attraverso gli occhi dei grandi autori della letteratura e delle arti in genere. È un sentire diverso, che fa battere il cuore.