Andreotti, Craxi e Moro visti dalla CIA. Raffaele Romano ricostruisce la storia dell’Italia più oscura dal 1941 al 1994

L’ingerenza ombra degli Stati Uniti nella politica e negli affari interni Italiani, raccontata nell’appassionante ed esplosivo saggio del giornalista e saggista Raffaele Romano attraverso i documenti desecretati di diplomatici, servizi di intelligence, Dipartimento di Stato, Casa Bianca, interviste, articoli e Commissioni parlamentari di indagini italiane e straniere.

Chi poteva immaginare che il Pci italiano intesseva rapporti con gli Stati Uniti, nel lontano 1970? E che dietro Tangentopoli e il caso Moro ci fosse l’ombra nera degli Stati Uniti a tessere manovre e dettare le mosse entrando di fatto negli affari interni della politica italiana e influenzando   in molti casi  con conseguenze catastrofiche,  il destino del nostro Paese. I fatti della Storia contemporanea  dell’Italia  sono raccontati e documentati attraverso l’analisi e l’interpretazione critica del saggista e giornalista Raffaele Romano nel volume  “Andreotti, Craxi e Moro visti dalla CIA”  (332 pagine, 13 euro, disponibile su Amazon).

Il saggio si apre con un appello dell’autore al Presidente Joe Biden di continuare sulla strada già intrapresa con l’emanazione dell’ordine esecutivo che desecretava la documentazione inerente l’attacco alle Twin Towers e fare lo stesso con gli atti che riguardano l’Italia per il periodo che va dal 1978 al 1994.

Romano ricostruisce le vicende dell’Italia, e quanto viene narrato nel saggio è sorprendente: si scopre da documenti ufficiali top secret che già fra gli anni sessanta e settanta c’erano stretti rapporti fra molti alti dirigenti del Pci e l’ambasciata americana a Roma quando, visto il periodo storico, si riteneva fosse la DC l’unico partito depositario di una speciale relazione con gli USA. Invece c’erano sistematici e numerosi incontri con Luciano Barca, Giorgio Amendola, Sergio Segre, Alfredo Reichlin, Giuseppe Boffa, Giorgio Napolitano solo per citarne alcuni, e da un articolo di Stefano Marroni si apprende della cena con lo “spione” della CIA a cui partecipa l’inflessibile Giancarlo Pajetta.

Raffaele Romano con un ritmo incalzante che lascia il lettore senza fiato, dipana il fil rouge delle rivelazioni che legano i vari avvenimenti storici. “Questo libro ha, come scopo principale, quello di realizzare un’inchiesta giornalistica che miri a far conoscere all’opinione pubblica fatti che i veri storici, quelli di professione, si incaricheranno, poi, di collocare in modalità scientifica”. dichiara Raffaele Romano.

Fra i tanti documenti desecretati c’è il deflagrante testo di un telex di Allen Holmes vice di Gardner e anche Deputy Chief of Mission a Villa Taverna in cui definisce l’Italia “una nazione a sovranità limitata” dovuto all’interventismo americano che spesso adottava il Dipartimento di Stato: “in base a quale diritto presumiamo di avere tale ruolo e pensiamo di sapere cosa è meglio per l’Italia rispetto agli italiani stessi?” concludendo che un’ingerenza di tale portata “sarebbe impensabile in un’altra nazione dell’Europa Occidentale”.

Senza contare, poi, la rilevanza della documentazione di Henry Gonzalez, presidente della Commissione sulle banche della Camera dei rappresentanti a Washington, e Guido Gerosa vicepresidente della Commissione d’inchiesta sulla Bnl in Italia, laddove emergono gli stretti rapporti fra CIA e narcos sudamericani e lo stesso Saddam Hussein al quale era stato posto l’embargo ma, allo stesso tempo, lo si alimentava tramite la filiale di Atlanta.

Dalle due importantissime interviste all’ex ambasciatore Reginald Bartholomew e quella a Peter Semler ex console a Milano fatte da Maurizio Molinari nel 2012 quando era corrispondente della Stampa di Torino, emergono alcune sconcertanti novità con l’ammissione di Bartholomew del legame fra l’ex console di Milano e la procura di Milano. Quando arrivò a Roma nel ’93, spezzò definitivamente tali rapporti ma i giochi ormai erano fatti. Inoltre candidamente ammise che, approfittando della presenza a Roma di Antonino Scalia della suprema Corte USA, decise di convocare a Villa Taverna sette importanti e mai nominati giudici italiani per spiegare loro le gravi violazioni dei diritti della difesa nelle indagini di Tangentopoli. L’intervista con Semler, console USA a Milano, fu ancora più esplosiva allorchè, con nonchalance, questi ammise di aver saputo da Di Pietro cinque mesi prima dell’inizio di mani pulite, siamo nell’autunno del ’91, che avrebbe arrestato l’allora sconosciuto presidente del Pio Albergo Trivulzio Mario Chiesa e, che da lui, sarebbe arrivato a Craxi e alla DC.

Fino a giungere all’intervista di Paolo Mastrolilli, succeduto negli USA a Molinari, a Daniel Serwer, incaricato d’affari e quindi capo della rappresentanza diplomatica americana a Roma, che come autore di un rapporto su Tangentopoli afferma che un protagonista di Tangentopoli «potrebbe essere un pupazzo manovrato dagli Usa» e all’ovvia replica dell’intervistatore su chi fosse il pupazzo la risposta è imbarazzante:

“Non ricordo con esattezza, ma, come sapete, chiunque potrebbe essere accusato di esserlo in Italia, specialmente durante quel periodo!”  Un’ingerenza quella degli Usa, le cui manovre provocarono risultati devastanti per il nostro Paese.

C’è, inoltre, nello stesso arco temporale italiano la tangentopoli tedesca, francese e spagnola col coinvolgimento diretto di Helmut Kohl, Francois Mitterand e Felipe Gonzales che, come si vedrà, si chiuse in modo completamente opposto a quella Italiana, ovvero nessun processo mediatico e né tantomeno giudiziario.

Il trait d’union che lega tutti i fatti è quindi la continua presenza ingombrante degli Stati Uniti. A partire dalla manipolazione di Lucky Luciano, che fu “assoldato” dagli americani per i suoi contatti con la mafia per favorire lo sbarco delle loro truppe in Sicilia, ad Augusta.

“Nel libro di Romano non c’è alcun compiacimento, ma semplicemente un’analisi rigorosa degli eventi accaduti attorno a tre autorevoli, seppure diversissimi, statisti italiani: Andreotti, Craxi e Moro, costretti ad affrontare vicende poco chiare, dalle quali, in ultima analisi, sono rimasti schiacciati”. Scrive Enrico Fagnano nella prefazione. Dopo qualche decennio dall’esecuzione di Moro, Steve Pieczenik, così si chiamava il nuncius” dell’amministrazione americana nella commissione nominata da Cossiga per “gestire” il sequestro Moro, dichiarò in due interviste rese a giornali italiani che egli aveva lavorato contro la possibilità di recuperare o di liberare il presidente della DC, ritenendo che “la fragile democrazia italiana non avrebbe assorbito il colpo”. Era perciò necessario insistere nella politica della “fermezza“ che, ben si sapeva e lo sapeva Pieczenik, conduceva alla soppressione dell’ostaggio. Con la sua ricostruzione esplosiva, lo stile incalzante e una narrazione dei fatti approfondita e documentata Il volume di Raffaele Romano offre al lettore un visione privilegiata, che gli permette di comprendere a fondo l’influenza dell’America sullo scacchiere politico nazionale e internazionale e le tristi pagine di storia che ne sono conseguite.

L’autore

Raffaele Romano è nato a Napoli e vive a Roma da oltre 45 anni. Giornalista d’inchiesta, docente, politico e saggista, ha collaborato al quotidiano finanziario Ore 12,al quotidiano l’Avanti per diversi anni  e al quotidiano Il Messaggero come free lance. Dal 1989 al 1992 ha fatto parte dell’Ufficio Stampa dell’allora Sindaco di Roma.

Attualmente collabora con la rivista on line “La Voce di New York”con la testata on line “Nuovo giornale nazionale” e con “Radio Hofstra” di New York nella trasmissione “Sabato Italiano” in cui si occupa  di cinema italiano.

Scrive per alcuni siti web articoli di Economia, Finanza ed Esteri; ha pubblicato un saggio di Storia Contemporanea vincendo nel 1992 il Premio Letterario “Nazareno” per la sezione della saggistica con una biografia storico-politica su Giacomo Matteotti. L’ultimo saggio è stato pubblicato a novembre del 2016 dal titolo: “I furbetti della Penisola”.

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