
di Francesco Mazzarella
[✓]Parte 2 – Le mafie in giacca e cravatta: quando il crimine diventa finanza
Parte 1 – Dopo Capaci: la mafia ha smesso di sparare, non di comandare
La mafia di oggi non si presenta con la coppola e la lupara. Non spara per le strade, non semina cadaveri nei campi. Parla inglese, firma contratti, partecipa a meeting finanziari e si muove tra paradisi fiscali, criptovalute, operazioni immobiliari e mercati internazionali. Il volto del crimine è cambiato: è quello di un broker. Di un avvocato. Di un commercialista. Di un consulente aziendale.
Criminalità organizzata 5.0
Le mafie italiane, da Cosa Nostra alla ‘ndrangheta, passando per camorra e sacra corona unita, hanno subito un’evoluzione radicale. Lontano dai riflettori mediatici, hanno costruito un nuovo modello di business, dove l’illegalità è ben nascosta sotto il mantello della legalità apparente. Il loro obiettivo non è più il controllo militare del territorio, ma l’infiltrazione sistemica nei gangli vitali dell’economia.
Un report di Europol e ONUDC lo conferma: le organizzazioni criminali transnazionali oggi gestiscono reti complesse, che spaziano dal traffico di droga ai fondi d’investimento, dal riciclaggio attraverso catene di ristorazione al controllo delle start-up nel settore tecnologico.
Il riciclaggio come strategia
Il denaro sporco è il vero motore dell’economia mafiosa. Ma per essere utilizzato, deve essere ripulito. Da qui l’importanza di strumenti sempre più sofisticati di riciclaggio: società di comodo, prestanome, fiduciari, trust opachi, investimenti in mercati volatili come quello delle criptovalute. Non è un caso che Bitcoin, Ethereum e stablecoin siano diventati oggetto di studio anche da parte della DIA.
Un ex funzionario di banca racconta, sotto anonimato: “A volte ci arrivano richieste di apertura conti da parte di società lussemburghesi con statuti perfetti, sedi reali e zero dipendenti. Poi guardi il flusso dei capitali e capisci che qualcosa non torna. Ma se non hai gli strumenti giusti, non puoi fermarli”.
Gli appalti pubblici come bancomat della mafia
Uno degli ambiti più redditizi per le mafie moderne è quello degli appalti pubblici. Infrastrutture, edilizia scolastica, san sanità, rifiuti, energie rinnovabili. Ogni bando è una potenziale porta d’ingresso. Grazie a imprese intestate a prestanome o a professionisti compiacenti, le organizzazioni criminali riescono ad accaparrarsi commesse milionarie, reinvestendo capitali e guadagnando legittimità.
Lo Stato, in molti casi, non ha le risorse per contrastare questo meccanismo. Mancano i controlli, manca la formazione del personale, manca la volontà politica. Spesso, anzi, le connivenze sono dirette: politici corrotti, funzionari distratti o complici, enti locali ricattati.
Il green business è diventato nero
Nel decennio della transizione ecologica, la mafia ha fiutato il business del futuro. Energia eolica, fotovoltaico, smaltimento dei rifiuti, bonifiche ambientali: sono i nuovi territori di conquista. Dietro i progetti ecosostenibili si nascondono spesso investitori con legami ambigui, flussi di denaro difficili da tracciare, intrecci societari opachi.
Nel 2023, un’inchiesta in Sicilia ha rivelato che numerosi impianti fotovoltaici erano stati finanziati con capitali riconducibili a famiglie mafiose della provincia di Agrigento. Il paradosso: energia pulita prodotta da denaro sporco.
Professionisti, colletti bianchi e zona grigia
Il volto più inquietante delle nuove mafie è forse proprio questo: la zona grigia. Non servono più uomini armati o minacce. Bastano avvocati che chiudono un occhio, notai che registrano atti sospetti, commercialisti che costruiscono architetture societarie opache. Il crimine organizzato ha capito che l’illegalità paga di più se non si vede.
Un magistrato antimafia confida: “In aula ormai portiamo più faldoni che boss. Le prove sono fatte di mail, estratti conto, chat criptate. L’idea romantica del mafioso è finita. E forse questo è il loro più grande successo: farci dimenticare il pericolo.”
Un modello globale: da Reggio Calabria a Dubai
La ‘ndrangheta, considerata oggi l’organizzazione criminale più potente al mondo, ha fatto del modello globale la sua forza. Cellule in Canada, Germania, Australia. Colletti bianchi in Svizzera, Panama, Emirati Arabi. Operazioni economiche che attraversano continenti, gestite con una precisione degna delle multinazionali.
Secondo uno studio della Fondazione ResPublica, nel 2024 le mafie italiane gestivano un volume d’affari di oltre 200 miliardi di euro l’anno. Una cifra che le collocherebbe tra le prime dieci aziende italiane per fatturato, se fossero legalmente registrate.
Il futuro è già mafia-proof?
La sfida è ancora più ardua. Serve un cambio di paradigma. Non bastano più i reparti antimafia: serve un sistema finanziario trasparente, una politica coraggiosa, una cittadinanza vigile. Serve una cultura economica che metta al centro l’etica. Serve anche un giornalismo investigativo libero e protetto, capace di raccontare ciò che non si vede.
Ma soprattutto serve la consapevolezza che la mafia, oggi, può essere seduta accanto a noi, con una cravatta elegante e un sorriso rassicurante. E che proprio per questo, è più pericolosa che mai.