Intervista all’ambasciatore estone Paul Teesalu, l’Estonia? Non saremo i prossimi

La NATO come alleanza di difesa, che ha un potere militare collettivo che va ben oltre le capacità russe

Nel 1940 Lilio Cialdea pubblicava “L’espansione russa nel Baltico” per l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale di Milano. Il volume ripercorre la storia dei Paesi Baltici in relazione all’espansione zarista in quei territori, nel XIX secolo, i rapporti con l’URSS, i patti di mutua assistenza del 1939 e l’annessione del 1940.

Analisti e politologi, in seguito alla crisi tra Ucraina e Russia, si sono spinti a dichiarare che l’obiettivo strategico di Vladimir Putin è una sfera d’influenza russa estesa dal Baltico al Caucaso. Del resto, a quasi un mese dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina, sono ancora molteplici gli interrogativi sulle concrete ragioni che hanno indotto il leader del Cremlino a lanciare l’attacco. È stata una reazione all’espansione ad est della NATO, oppure l’offensiva nasconde un obiettivo programmatico? Dove vuole arrivare la Russia di Putin? Abbiamo posto questa, e altre domande, all’ambasciatore della Repubblica di Estonia in Italia S.E. Paul Teesalu che ci ha fornito il punto di vista del suo governo e dell’area baltica rispetto alla crisi in corso. Ma prima, torniamo indietro nel tempo alle radici storiche del rapporto tra i Paesi Baltici e la Russia.

Il trattato di Nystad, del 10 settembre 1721, consacrò l’egemonia baltica della Russia. La Grande guerra del Nord, combattuta tra il 1700 e il 1721, vide impegnati i regni di Danimarca, di Polonia, di Sassonia e l’Impero russo dello zar Pietro il Grande contro l’Impero svedese del diciottenne Carlo XII di Svezia. Il conflitto scoppiò per indebolire l’influenza svedese, in continua espansione sul Mar Baltico. Dopo alcune sconfitte iniziali Pietro il Grande riuscì a sconfiggere l’esercito di Carlo XII durante la campagna di Poltava (1709). Due anni dopo si unirono alla coalizione anche la Gran Bretagna e la Prussia, che occupò la Pomerania. Carlo XII attaccò quindi gli avamposti danesi in Norvegia, ma la sua morte (1718) durante l’assedio di Fredrikshald (Norvegia), pose fine alla volontà di resistenza degli svedesi. Il trattato di Stoccolma (1719-20) sancì il termine delle ostilità con la Prussia, la Danimarca e la Sassonia, mentre il già citato trattato di Nystad (1721) legittimò l’ascesa dello zar Pietro il Grande. A seguito del trattato la Svezia, sconfitta, dovette cedere all’Impero russo le provincie della Livonia, dell’Estonia, dell’Ingria e della Carelia.

La Finlandia fu di nuovo invasa dagli eserciti russi ed alla pace di Abo del 18 agosto 1743 la Svezia cedette alla Russia le coste baltiche finlandesi fino al fiume Kymmene. La terza spartizione della Polonia, definita dalla convenzione tripartita di Pietroburgo del 24 ottobre 1795, portò la Russia all’occupazione dell’ultima provincia baltica, la Curlandia polacca.

A partire dagli anni Venti dell’Ottocento l’idea di nazione si iniziò a diffondere nei Paesi Baltici. L’idea di “popolo lettone”, ad esempio, si propagò dapprima nel corpo accademico grazie all’opera delle società erudite e attraverso le pubblicazioni in lingua lettone prodotte da intellettuali tedeschi. Il primo giornale in lingua estone, il Perno Postimees (Messaggero di Pernau, 1857), modificò la nozione di “popolo rurale” con quella di “estoni”.  Al conflitto tra le Chiese si affiancò, a partire dagli anni Ottanta del XIX secolo anche la massiccia russificazione. San Pietroburgo, infatti, introdusse nelle scuole lo studio della lingua, della storia e della geografia russe. Dopo la rivoluzione del 1905 che scosse la Russia, i movimenti nazionali estone, lettone e lituano attirarono l’attenzione della stampa internazionale. Gli impopolari reclutamenti occasionali, stabiliti in occasione della guerra russo-giapponese, provocarono numerose rivolte nelle provincie baltiche, per la prima volta colpite dall’obbligo di leva imposto dall’Impero russo. Durante la Prima guerra mondiale i Paesi Baltici furono coinvolti poi nei modi più diversi, con la fine della Grande Guerra, che vide la sconfitta dell’Impero russo e di quello tedesco, si stabilirono le condizioni per la costituzione degli Stati indipendenti di Estonia, Lettonia e Lituania. La pace separata e sottoscritta a Brest-Litovsk da Russia e Germania il 3 marzo 1918, insieme agli accordi supplementari del 27 agosto costrinsero il governo russo a rinunciare alle provincie del Baltico, anche sé l’Impero tedesco non accettò l’indipendenza e la neutralità di Estonia, Curlandia e Lettonia. Il 12 aprile 1918, il Consiglio regionale unificato, (corpo centrale delle assemblee dei cavalierati tedeschi baltici di Estonia, Curlandia e Livonia), decretò un’istanza a Guglielmo II affinché venisse costituito uno Stato baltico legato al re di Prussia. Dopo la caduta del Reich, 11 novembre 1918, la Russia sovietica dichiarò decaduto il trattato di Brest-Litovsk. Nell’estate del 1919 truppe estoni e lettoni, sotto il comando di Laidoner, piegarono le forze del Reich nei territori della Lettonia settentrionale. Agli ordini del conte Rüdiger von der Goltz la milizia nazionale dei tedeschi del Baltico fu abbattuta. La vittoria di Cēsis (est. Võnnu, ted. Wenden) il 23 giugno 1919 è celebrata, ancora oggi, come festa nazionale, il “giorno della Vittoriain Estonia. Allo stesso tempo, estoni e lettoni stavano combattendo sul fronte orientale per l’incursione dell’Armata Rossa russa. Il trattato di pace firmato tra la Repubblica di Estonia e la Russia sovietica a Tartu sciolse ogni dubbio e fu quindi riconosciuta l’indipendenza dell’Estonia, da Mosca, il 2 febbraio 1920, mentre l’11 agosto del 1920, dopo diverse azioni militari dei due schieramenti contrapposti, la Russia sovietica e la Lettonia sottoscrissero a Riga l’indipendenza della regione. La successiva disgregazione dell’Ober Ost causò l’avanzata delle truppe sovietiche nella regione che, in poco tempo, occuparono Vilnius e proclamarono la Repubblica sovietica di Lituania. A Kaunas fu subito organizzata la resistenza nazionale, ad opera di Smetona che il 19 aprile del 1919, grazie all’aiuto delle truppe polacche, riuscì a cacciare i sovietici impossessandosene. Con i trattati di pace erano stati raggiunti i fondamenti territoriali per l’indipendenza degli Stati Baltici. L’ingresso nella Società delle Nazioni (1921) né rafforzò, a livello internazionale, la sospirata e ambita libertà.

Questa la storia dei Paesi Baltici fino allo scoppio della Seconda guerra mondiale: dal 1940 le repubbliche baltiche vennero occupate nuovamente dall’Unione Sovietica. Gli Stati Uniti notificarono all’URSS che non avrebbero mai riconosciuta come legittima tale annessione. In seguito, dal 1941 al 1944 furono occupate dalla Germania nazista e dal 1944 al 1991 furono nuovamente occupate e annesse all’Unione Sovietica riacquistando l’indipendenza solo in seguito allo scioglimento dell’URSS come repubbliche parlamentari indipendenti. Dal 2004 sono membri dell’Unione europea e della Nato. Tornado all’attualità proviamo a capire il punto di vista oggi, a quasi un mese dall’inizio delle ostilità in Ucraina, qual è il pensiero del governo estone rispetto all’invasione russa attraverso l’ambasciatore della Repubblica di Estonia in Italia S.E. Paul Teesalu.

Secondo lei, l’azione militare promossa da Vladimir Putin è stata una reazione all’espansione ad est della NATO? Assolutamente no. Come sappiamo, la NATO ha avviato negli anni ’90 i suoi sforzi di cooperazione per la sicurezza in Europa. Ad esempio, è stato creato il programma Partnership for Peace e fu creato il Consiglio NATO-Russia. La NATO ha mantenuto il suo carattere storico di alleanza difensiva, ma non era in alcun modo una minaccia per la Russia moderna. Il problema non era l’espansione della NATO, ma la crescente tendenza interna della Russia all’autoritarismo. Putin ha bisogno di un’immagine costante del nemico esterno e ha una profonda paura per la democrazia e la libertà in generale. Negli ultimi due decenni Putin è stato in grado di smantellare completamente l’opposizione politica e di chiudere i media liberi russi. Pare fosse sempre più preparato a usare la forza militare nelle vicinanze della Russia per sostenere la sua ideologia revanscista e neoimperialista che ha coltivato a livello nazionale. Niente a che fare, insomma, con la NATO. Dopotutto, l’Ucraina non era neanche lontanamente vicina a diventare membro della NATO. Non nel 2014, non nel 2022. È solo una scusa a buon mercato da parte russa. Sarebbe sciocco se cadessimo in questa trappola.

L’offensiva nasconde un obiettivo programmatico? Dove vuole arrivare la Russia di Putin? È difficile dare una risposta diretta. Sembra che Putin volesse ripristinare la cosiddetta ex gloria dell’Impero russo. Non c’è spiegazione migliore per la sua macabra guerra contro la vicina Ucraina. Se dessimo mani libere a Putin, trasformerebbe gran parte dell’Europa nella sua distopia autoritaria illiberale. Per ora, la sua Blitzkrieg non ha avuto il successo che si aspettava. È più probabile che finirà all’Aia come un criminale di guerra piuttosto che come un sovrano dell’Impero che si “lava le scarpe nell’Oceano Atlantico”.

“Quando Mosca ha invaso l’Ucraina ci siamo detti: noi siamo i prossimi”: così cinque ventenni di Estonia, Lituania e Lettonia hanno dichiarato a Il Fatto Quotidiano qualche giorno fa. Lei ha avuto la stessa reazione? Ricevo spesso questa domanda. In Estonia temiamo di essere i prossimi? No, non credo. Ci sono due elementi importanti che ci danno fiducia. In primo luogo, la NATO come alleanza di difesa, che ha un potere militare collettivo che va ben oltre le capacità russe. E in secondo luogo, i russi non sono in grado di reprimere facilmente la resistenza dell’Ucraina. Gli ucraini hanno il morale alto e la ferma determinazione a combattere gli invasori russi. Per il bene dell’Europa, dobbiamo assistere gli ucraini nel loro sforzo bellico.

In Estonia, Lettonia e Lituania il ricordo dei bombardamenti e della “liberazione” sovietica è ancora vivo. Le generazioni che hanno vissuto l’occupazione sono ancora tutte in vita, così come quelle che non l’hanno subita direttamente e sono nate in tre paesi liberi, ma portano dentro la memoria collettiva di quello che le loro famiglie hanno sofferto. Cosa ricorda lei di quel periodo? Ci sono stati molti cosiddetti “liberatori” in Estonia durante il secolo scorso, che hanno portato solo sofferenza alla gente. I miei genitori sono nati negli anni ’40 durante l’occupazione nazista in Estonia, che presto è passata a quella sovietica. Ricordo la fine degli anni Settanta e Ottanta. Ricordo un tipo particolare di povertà del tardo periodo sovietico, dove, sebbene tutti avessero un lavoro, non c’era valuta forte e i negozi erano vuoti di merci e, naturalmente, non c’erano media liberi o libertà di parola. Il sistema sovietico era brutale contro i dissidenti. Così è la Russia di Putin. Ma almeno durante gli ultimi anni dell’Unione Sovietica, nessuno credeva veramente alla propaganda sovietica. Le persone sapevano leggere tra le righe. I russi ora sembrano credere ingenuamente a ciò che la macchina di propaganda di Putin sta dicendo loro. Questo è preoccupante.

Che aria si respira in questi giorni a Tallin e quali sono le preoccupazioni maggiori per il governo estone? C’è grande simpatia per gli ucraini. Molte sono le iniziative, pubbliche e private, per inviare aiuti all’Ucraina. Gli estoni accolgono migliaia e migliaia di profughi ucraini. In breve, l’obiettivo ora è sostenere l’Ucraina e non tanto lamentarsi della nostra situazione.

Come risolverebbe il governo estone la crisi in Ucraina? C’è ancora spazio secondo lei per la diplomazia? Oppure è d’accordo con i paesi Occidentali nell’aiutare la resistenza ucraina tramite l’invio di armi? Dobbiamo rivalutare seriamente la nostra posizione di fronte alla situazione attuale. Come sappiamo, Putin ha iniziato i preparativi di guerra visibili già l’anno scorso. Gli americani e gli europei hanno compiuto enormi sforzi diplomatici, recandosi a Mosca, ma la Russia ha continuato ad ammassare le sue truppe lungo il confine con l’Ucraina. La maggior parte degli analisti pensava quindi che tutto questo fosse solo il bluff russo per aumentare il proprio potere contrattuale in ulteriori colloqui diplomatici. Oggi, purtroppo, sappiamo che non è stato solo un bluff. Putin si stava davvero preparando per una guerra. Per una guerra non provocata e ingiustificata. Putin ha usato cinicamente i colloqui diplomatici solo per guadagnare più tempo per la sua aggressione. A giudicare dal comportamento passato russo, tuttavia, non avrebbe dovuto sorprenderci completamente.

Non ci dovrebbe essere pacificazione. Putin ha ordinato una terribile guerra, enormi danni alle infrastrutture civili, enormi perdite di vite umane, milioni di rifugiati. È nostro massimo dovere sostenere lo sforzo bellico ucraino per difendere il loro popolo e il loro paese. L’Estonia ha già donato armi ed equipaggiamenti militari all’Ucraina per oltre 200 milioni di euro. Ciò include moderni missili anticarro, munizioni antiaeree, mitragliatrici, mine anticarro ecc. Altri Paesi hanno fatto lo stesso. Sono abbastanza sicuro che Putin può essere fermato in un’efficace combinazione di sanzioni economiche, boicottaggio diplomatico, fornitura di aiuti e armi all’Ucraina e, in definitiva, dall’eroico coraggio del popolo ucraino. Putin ha sottovalutato il popolo ucraino. Anche con la nostra pressione collettiva, il cambiamento in Russia può venire solo dall’interno della Russia. Si spera che un giorno il popolo russo si svegli. Sfortunatamente, il prezzo per questo cambiamento sarà alto per tutti noi, ma non abbiamo alternative migliori. Per quanto riguarda la sicurezza dell’Estonia e della regione baltica, è importante notare che la NATO ha aumentato collettivamente la sua disponibilità e presenza nella nostra regione. Questi passi della NATO dovrebbero tenere lontano Putin. L’Italia sta contribuendo in modo significativo alla posizione di difesa della NATO, posizionando le sue truppe in Lettonia e in Romania. Qui siamo molto uniti.

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