Siria: una guerra infinita. Dieci anni dopo l’apertura del conflitto

Dieci anni fa iniziava una guerra civile che vede ancora oggi la Siria protagonista di una delle rivolte più sanguinose della storia. Una guerra regionale con ripercussioni su scala globale, presto divenuta una lotta di supremazia tra potenze straniere.

Un triste capitolo della storia dell’umanità vede la Siria protagonista da 10 anni di una guerra civile infinita, iniziata nel lontano febbraio 2011, che ha dilaniato una popolazione intera e ormai da tempo in piena crisi umanitaria.

Nel 1970 in Siria, a seguito di un colpo di stato, l’allora governo al potere arabo-socialista Baath viene rovesciato dal generale dell’aviazione Bashar al Assad, che dà vita ad un sistema di potere politico ed economico autoritario, basato su un articolato apparato di controllo e repressione, ma soprattutto su un’importante strategia di collaborazione tra le élite locali e nazionali.

Ma chi sono gli Assad? Membri di un influente clan alawita, gli Assad hanno coinvolto ai vari livelli della gerarchia del regime una serie di personaggi, militari e civili, provenienti da altre diverse comunità confessionali ed etniche. L’ormai defunto, nel 2000, Hafez al Assad, fondatore dell’attuale regime, è passato alla storia per il suo pragmatismo nella gestione degli affari interni ed esteri. Alleato strategico della Russia e dell’Iran, Assad ha stretto accordi con gli Stati Uniti e ha negoziato a lungo, senza mai giungere a risultati concreti, accordi di pace con Israele. 

Ancora oggi il contestato figlio Bashar al Assad, fortemente sostenuto da Mosca e da Teheran, da più di vent’anni guida un Paese che da dieci anni è travolto da una guerra intestina presto trasformatasi in una guerra regionale con ripercussioni su scala globale, vincendo le elezioni presidenziali successivamente nel 2007 e nel 2014 e caratterizzando di fatto il governo della famiglia Assad quale un regime dittatoriale.

 Proprio per questo dunque nel 2011, dopo alcuni casi isolati di protesta contro il governo, nel mese di marzo iniziano le prime manifestazioni di massa in piazza a Daraa, città nel sud della Siria, con vere e proprie rivolte dove viene richiesta la liberazione di alcuni ragazzi arrestati nei giorni precedenti per aver inneggiato con degli slogan alla fine del regime di Assad in favore di un governo democratico. A lungo Daraa è il quartier generale delle rivolte, che presto però dilagano anche nel resto del paese, facendo sì che anche la Siria entri a far parte dell’ampio contesto della Primavera Araba e che ne divenga probabilmente anche il centro della rivolta più sanguinosa.

Nell’agosto 2011, a difesa dei manifestanti e a protezione dagli attacchi dei soldati del regime, nasce l’Esercito Libero Siriano, sostenuto in seguito da Stati Uniti, Unione europea, Turchia, Arabia Saudita e Qatar che si schierano con le truppe ribelli. D’altro canto a sostegno di Assad si schierano Cina, Russia, Iran e soprattutto l’Hezbollah, un’organizzazione paramilitare nata nel 1982 nel Libano. Di fatto dunque in Siria scoppia quella che potremmo definire una vera e propria guerra civile su scala internazionale e globale, ma anche quella che negli anni è stata definita da alcuni una “guerra per procura”, dove a comandare non sembrano più essere i siriani ma eserciti stranieri di altri paesi.

Ancora contro il governo di Assad, nel gennaio 2012, intervengono le Brigate di Al – Nusra “Fronte del soccorso al popolo di Siria” capeggiate da Al Qaeda, il cui principale obiettivo è di rovesciare il governo di Assad. La pace è sempre più lontana. 

Lo scacchiere cambia e cambiano gli schieramenti: Francia, Inghilterra e Usa ora hanno come principale obiettivo quello di fronteggiare i gruppi terroristici insorti. Infatti anche l’autoproclamatosi Stato Islamico, meglio conosciuto come Isis, ha preso parte al conflitto, controllando una significativa parte del territorio siriano e annunciando nel 2014 la formazione del Califfato. 

La guerra nel frattempo continua a mietere vittime: solo il 21 agosto del 2013 muoiono 1400 civili in quella che è stata definita la strage più terribile della storia con un attacco alla città di Ghouta con armi chimiche.

Nel settembre del 2015 anche la Russia entra nel conflitto, già da tempo dichiaratasi a favore di Assad, tuttavia a spingerla a mobilitarsi sono anche altre motivazioni: garantire e ampliare la propria presenza marittimo-militare nel Mediterraneo e combattere il terrorismo e il proselitismo sunnita, anche nel proprio territorio.

Il 2015 inoltre è l’anno dei numerosi attacchi terroristici che hanno piegato, senza però spezzarla, l’Europa. La Francia è il paese più colpito, con l’attacco alla redazione di Charlie Hebdo e la strage del Bataclan, che ha visto 130 morti e più di 300 feriti.

Un cessate il fuoco viene proclamato nel febbraio del 2016, che esclude tuttavia Al – Nusra e Isis, ma che purtroppo non prelude ad un barlume di pace. Da lì ad un anno infatti una serie di stragi vedranno protagonista la città di Aleppo, dove a perdere la vita sono tanti, troppi, bambini.   

Sebbene sotto la presidenza di Obama gli Usa siano stati assai presenti nel sostegno dei ribelli e nel combattere le forze terroristiche, con l’era trumpiana lo scenario cambia. I curdi vengono privati di quella protezione di cui dal 2014 godevano, ma soprattutto la ritirata americana permette alla Turchia di allontanare dal proprio confine i curdi stanziati nel nord-est della Siria. Ancora una volta lo scenario degli schieramenti cambia. I curdi si trovano costretti a chiedere un nuovo tipo di aiuto, siglando un accordo con il governo siriano e quindi con Mosca.  

Ma arrivando ad oggi, cosa è cambiato dal lontano 2011? Sostanzialmente nulla, nonostante le altre richieste di cessare il fuoco la Siria viene ancora lacerata da una guerra, nata come civile, ma divenuta internazionale. Campagne anti Isis, l’offensiva turca anticurdi, l’inasprimento dei ribelli contro il governo (avvalorato quest’anno anche dalle elezioni presidenziali il prossimo 26 maggio) affiancato dalla Russia, rendono solo la Siria vittima di una guerra che non è più sua. Volontari ribelli che muoiono per ideali civili, ormai da tempo trasformati in una lotta di supremazia contro potenze straniere. Una guerra nata a favore della democrazia, ma poi mutata in uno scontro tra più forti per il controllo di un paese. Il motivo? C’è chi parla di gas, chi di petrolio, chi dell’accesso al mar Mediterraneo e chi di interessi geo-strategici. Un tutti contro tutti dove a rimetterci sono solamente i civili.

Leggi anche: Siria. L’emergenza umanitaria non si ferma di Marta Tersigni

Leggi anche: Siria. Elezioni presidenziali: la democrazia è ancora un miraggio di Laura Giordano

Torna allo Speciale Siria

Stampa Articolo Stampa Articolo