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Emergenza Etiopia. La guerra è giunta a un punto di non ritorno dopo gli attacchi del 14 novembre

(tempo di lettura: 3 min)

Il Corno d’Africa non trova pace, anzi inizia ad essere al centro di una crisi senza precedenti.

Dopo una settimana di violenti scontri tra forze federali e regionali, la popolazione civile nella regione del Tigrè, in Etiopia, è allo stremo.

Le comunicazioni sono interrotte e le strade bloccate. I servizi bancari non sono più operativi ed è impossibile il prelievo di denaro. Il cibo scarseggia.

Migliaia di bambini, donne e uomini (circa 25.000) stanno fuggendo in Sudan per salvarsi la vita. Vengono accolti nei centri di transito vicino al confine. France24 ha ripreso tutto l’esodo rinvenibile al link https://youtu.be/r3z7aO78ZCc [1].

Ma in che cosa consiste effettivamente questa catastrofe umanitaria?

Tutto nasce dal conflitto ormai ventennale tra Eritrea e Etiopia. Seppur sopito, negli ultimi anni non si è riusciti a giungere a un vero accordo di Pace. Anzi nel 2019, il processo di pace con l’Etiopia ha subito alcune battute d’arresto. Alcuni abitanti del Tigray, lo stato regionale più settentrionale dell’Etiopia al confine con l’Eritrea, hanno manifestato contro la notizia della ritirata dell’Etiopia dai territori contesi al confine, finora sotto il controllo etiope.  In particolare gli abitanti di Irob e Badme, due dei territori contesi, si sono opposti alla ritirata.  In due fasi rispettivamente a dicembre 2018 e aprile 2019, l’Eritrea ha chiuso unilateralmente di nuovo i valichi di frontiera, sebbene sia stata annunciata una riapertura. A partire da luglio 2019, l’Etiopia ha interrotto il ritiro dai territori contesi e la questione del confine è rimasta di fatto irrisolta.

La guerra è iniziata il 4 novembre, con un’operazione militare lanciata da Addis Abeba al culmine di un periodo di forti tensioni tra il governo etiope, guidato dal premier Abiy Ahmed, Nobel per la Pace 2019, e il Fronte di liberazione del popolo tigrino (Tplf), il partito che domina la regione settentrionale dell’Etiopia, popolata dalla minoranza tigrina. I belligeranti si accusano a vicenda di aver innescato la violenza, quel che è certo è che la dura contrapposizione politica dei mesi scorsi ha lasciato il posto alle armi, con risvolti imprevedibili.

Pochissime notizie e immagini filtrano dalla regione. I collegamenti telefonici e internet sono interrotti.

Da questo contesto è dunque scaturita l’attuale emergenza.

Amnesty International ha confermato infatti che la notte tra il 9 e il 10 novembre c’è stato uno spaventoso massacro di civili nella città di Mai-Kadra, nello stato del Tigrè.

Perché proprio nello stato del Tigrè?

Perché in tale stato vivono i Tigrayans, i quali pur comprendendo solo il sei percento della popolazione dell’Etiopia, sono visti come una potente minoranza a causa della loro affinità con il Tigray People’s Liberation Front (TPLF), che “ha esercitato un potere quasi illimitato per più di due decenni “prima delle riforme EPRDF nel 2018. Nel luglio 2019 il Comitato Centrale del TPLF ha dichiarato che “l’attuale governo centrale in Etiopia non è idoneo a guidare il Paese ed è responsabile di tutta la grave situazione in cui si trova attualmente il Paese”50. In particolare, la dichiarazione del TPLF ha accusato l’Amhara Democratic Party (ADP) di essere “strumentale alla creazione di un terreno fertile per le forze estremiste” e ha invitato l’ADP a “scusarsi con il popolo etiope e correggere la sua strada “. Come riportato da Ethiopia Insight, l’ADP in cambio ha definito TPLF un partito antidemocratico e lo ha incolpato “per la crisi complessiva, un punto di vista che ha un ampio sostegno a livello nazionale”. 

Per di più i territori Wolkait e Raya che fanno attualmente parte dello stato regionale del Tigray e del confine con l’Amhara sono contesi tra Tigray e Amhara.

Sempre Amnesty International ha riportato che numerose decine, ma probabilmente centinaia di civili, soprattutto lavoratori giornalieri, sono stati pugnalati o accoltellati a morte nel contesto dell’offensiva militare avviata il 4 novembre dal governo di Addis Abeba contro il Fronte popolare di liberazione del Tigré (Tplf).

L’esatta dimensione del massacro è ancora incerta a causa del totale blocco delle comunicazioni. L’agenzia di stampa del governo dello stato di Amhara ha parlato di circa 500 morti. Una fonte locale che sta collaborando con Amnesty International per accertare l’identità delle vittime ha dichiarato che la maggior parte aveva documenti d’identità ahmara.

Secondo quanto ricostruito dall’organizzazione per i diritti umani, nella giornata del 9 novembre le forze armate federali e la Forza speciale amhara hanno lanciato un’offensiva contro la Polizia speciale del Tigrè, terminata la quale si sono accampate nottetempo fuori da Mai-Kadra. Al mattino sono entrate di nuovo in città e hanno scoperto il massacro.

Questa crisi, ribattezzata crisi nel Tigray, ha visto una rapida evoluzione nella giornata del 14 novembre 2020, quando il conflitto ha superato i confini etiopi ed ha raggiunto la vicina Eritrea. Infatti 3 missili hanno colpito la capitale, Asmara. La notizia è stata confermata dalla agenzia Afp che cita un numero imprecisato di “razzi lanciati su Asmara dalla regione dissidente etiope del Tigray”. Fonti governative hanno dichiarato che “i razzi lanciati dal Tigray hanno mancato i loro obiettivi e le esplosioni sono avvenute alla periferia della capitale senza portare danni a cose e persone”.

Tuttavia, la mattina del 15 novembre 2020, il leader della regione settentrionale etiope dissidente del Tigray, Debretsion Gebremichael, ha rivendicato il lancio di razzi avvenuto “contro l’aeroporto della capitale eritrea, Asmara”. Gebremichael ha spiegato che “anche le forze etiopi stanno utilizzando l’aeroporto di Asmara” per far decollare i mezzi usati nei raid contro la regione del Tigray, e quindi lo scalo è un “obiettivo legittimo”.

Questa rapida escalation militare sembra segnare un punto di non ritorno e potrebbe creare forti destabilizzazioni in tutto il Corno d’Africa.