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Covid-19: cosa sta succedendo nei campi rifugiati?

L’impatto del COVID-19 sulle popolazioni di rifugiati e sfollati nel mondo è devastante già oggi ma potrebbe trasformarsi in una vera catastrofe nei prossimi mesi senza adeguate contromisure. I  71 milioni di persone costrette alla fuga presenti nel mondo sono oggi tra i più esposti e vulnerabili all’avanzata del virus e alle sue gravissime conseguenze, dirette e indirette.  Sebbene, ad oggi, siano ancora limitati i casi di contagio rilevati fra rifugiati, l’impatto sulle vite fragili delle persone in fuga da guerre e persecuzioni è enorme. A ciò si aggiunge la previsione che nei paesi più poveri il picco non sarà raggiunto prima dei prossimi tre-sei mesi. In questo momento l’UNHCR sta intervenendo prontamente per contrastare la diffusione del virus e proteggere i rifugiati dalle sue conseguenze, al contempo preparandosi ad affrontare ogni scenario futuro, anche il peggiore. Ma per farlo c’è bisogno dell’aiuto di tutti. Per questo motivo l’UNHCR Italia ha deciso di lanciare la campagna “Emergenza senza confini, solidarietà senza confini”, un appello rivolto all’opinione pubblica italiana affinchè in questo momento così difficile e incerto non vengano dimenticati i più deboli, milioni di rifugiati che devono proteggersi non solo dal COVID-19 ma anche dalle bombe, dalla violenza e della povertà. La solidarietà globale è la chiave per superare questo momento di emergenza mondiale e soltanto insieme possiamo superarlo e ripartire.

“L’80% degli oltre 70 milioni di rifugiati e sfollati vive in paesi poveri, con strutture sanitarie deboli. Alcuni fra questi paesi sono già colpiti duramente da conflitti, fame, povertà e malattie. Moltissime fra le persone costrette alla fuga vivono in aree urbane densamente popolate o campi, all’interno dei quali spesso non ci sono strutture sanitarie, condizioni igieniche e sistemi di protezione adeguati. Ma l’impatto catastrofico del COVID-19 non è solo sanitario, è anche economico: molte persone non hanno più nessun introito necessario per sopravvivere” – ha dichiarato Carlotta Sami, Portavoce dell’UNHCR per l’Italia.

Le donne, gli anziani e i bambini, soprattutto i non accompagnati, e le persone LGBTI sono le più a rischio di povertà e sfruttamento. In Africa e in Medio Oriente, centinaia di migliaia di rifugiati non hanno più nessuna fonte di reddito per la loro sopravvivenza a causa del lockdown. In Libano quasi il 70% dei rifugiati assistiti da UNHCR è costretto a saltare i pasti, essendo impossibilitati a svolgere i lavori cosiddetti a giornata per via del lockdown.

Il Niger davanti a un potenziale disastro

Un caso emblematico di estrema vulnerabilità è il Sahel, una regione fortemente instabile e povera, nella quale i gruppi armati continuano a compiere devastazioni, aggredendo allo stesso modo polizia e militari, civili, scuole, ambulatori, insegnanti e personale sanitario. I sistemi sanitari in paesi quali il Niger o il Burkina Faso sono molto fragili. Inoltre i tassi di povertà in Niger sono tra i più alti al mondo e in queste aree si registrano gli effetti in assoluto più duri dei cambiamenti climatici, che comportano fra le altre cose scarsità di cibo e acqua.  Recentemente, l’Alto Commissario ONU per i Rifugiati Filippo Grandi ha chiaramente avvertito che una eventuale diffusione del COVID-19 in questa area potrebbe rappresentare un disastro umanitario. L’UNHCR sta lavorando per prevenire questo grave rischio. In Niger, l’impegno dell’UNHCR per fronteggiare l’avanzata del COVID-19 si svolge su più fronti, in primis il rafforzamento della comunicazione ai rifugiati sull’importanza dell’igiene e di un’appropriata gestione dei rifiuti, ma anche la distribuzione di prodotti per la pulizia e l’igiene personale e la formazione di operatori sanitari. Un altro aspetto cruciale è il supporto al governo per la fornitura di staff medico e materiale sanitario. UNHCR sta infatti formando circa 200 risorse fra medici, infermieri, ostetriche, igienisti, analisti e ha anche messo a disposizione 11 ambulanze. Inoltre, l’UNHCR ha messo a disposizione 350 RHU (Refugee Housing Unit, moduli abitativi innovativi) che funzioneranno come centri di triage per separare i casi di COVID-19 e fornire le necessarie cure. Ciascun RHU potrà contenere 2 persone.

L’intervento di UNHCR in 71 paesi

Per rafforzare la sua azione di prevenzione e di risposta al COVID-19, soprattutto nei contesti vulnerabili dove c’è un’alta concentrazione di rifugiati e sfollati, l’UNHCR ha lanciato un appello internazionale per 745 milioni di dollari. L’intervento dell’UNHCR si focalizza sui 71 paesi più vulnerabili: negli insediamenti in Europa, in Grecia e Turchia, nel Medio Oriente, tra Iraq, Giordania, Libano, Siria e Yemen. In America, in Venezuela e Colombia; nell’area di Asia e Pacifico, tra Afghanistan, Bangladesh, Pakistan, Indonesia, Iran, Malesia.  Ma una larga parte dei paesi oggetto dell’intervento si trova nel continente africano, dove si trovano i paesi con gli indici di sviluppo più drammatici:  Etiopia, Kenya, Ruanda, Somalia, Sud Sudan, Sudan, Tanzania, Uganda in Africa orientale; in Repubblica Democratica del Congo nell’Africa meridionale; in Burkina Faso, Camerun, Ciad, Repubblica Centrafricana, Mali, Niger, Nigeria, Ruanda, Sudan, Malawi, Kenia nell’Africa centrale e occidentale.

I 745 milioni richiesti da UNHCR e il lavoro che l’agenzia sta realizzando, fanno parte della risposta globale all’emergenza coronavirus fornita insieme ad altre agenzie UN – tra le quali l’Organizzazione Mondiale della Sanità e il World Food Programme – e ONG come OXFAM. L’appello complessivo per la risposta globale al COVID 19 ammonta a 6,7 miliardi di dollari entro la fine del 2020.

Gli interventi dell’UNHCR sono mirati a dare sostegno ai sistemi sanitari pubblici, già molto fragili, favorendo il loro rafforzamento e l’inclusione dei rifugiati; ad assicurare accesso all’acqua e ai prodotti igienici per la prevenzione; all’assistenza dei più fragili, cercando di fornire un rifugio e supporto economico alle persone in condizioni di povertà assoluta; a garantire l’istruzione a distanza anche in condizioni di emergenza. Nel giro di poche settimane, abbiamo distribuito 6,4 milioni mascherine, 850 mila camici, 3.600 bombole d’ossigeno, 640 ventilatori, 50 ospedali da campo, 1600 alloggi di emergenza. Inoltre, abbiamo fornito 6 tonnellate di dispositivi di protezione individuale e medicine. Circa 30 milioni di dollari sono stati distribuiti alle persone più vulnerabili in condizioni di povertà assoluta. Ma ancora i bisogni restano altissimi.