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Guaidó lancia l’Operazione Libertà: primo maggio di violenza in Venezuela

Nessuna tregua per il Venezuela che resta bloccato in un braccio di ferro tra Nicolás Maduro e Juan Guaidó, entrambi convinti di essere i legittimi presidenti ed entrambi sostenuti da diverse e opposte forze internazionali.

Quella che Guaidó ha chiamato “Operación Libertad” (Operazione Libertà) è iniziata il 30 aprile con la liberazione di Leopoldo López, leader dell’opposizione agli arresti domiciliari. Liberazione possibile grazie a una vera e propria azione militare e quindi grazie al sostegno di alcuni membri delle forze armate che hanno abbandonato Maduro per schierarsi dalla parte di Guaidó.

Le stesse forze armate hanno poi preso possesso della base aerea de La Carlota ed è proprio da qui che Guaidó con un videomessaggio diffuso tramite Twitter [1] ha incitato a una protesta generale in occasione del primo maggio.

Seppur circondato dai militari “ribelli” ha parlato di mobilitazione generale non violenta e sempre all’interno della cornice costituzionale, ha esortato i cittadini a scendere in piazza e ha accennato anche al sostegno della comunità internazionale.

Nel suo video Guaidó ha lanciato un appello in particolare ai dipendenti pubblici invitandoli a scioperare. Questo è interessante perché ha fatto esplicitamente riferimento a elementi della rivoluzione bolivariana, parlando di “valore del lavoro” e dell’importanza di un lavoro degno per tutti i cittadini affinché nel paese ci possano essere progresso e benessere.

Il primo maggio dunque è stata una giornata di forti tensioni e scontri, specialmente a Caracas in Plaza de Altamira, simbolo delle manifestazioni antichaviste. Secondo l’Osservatorio Venezuelano di Conflittualità Sociale ci sono stati almeno 130 feriti per colpi di arma da fuoco, gas lacrimogeni e violenze, mentre una donna di soli 27 anni, Jurubith Rausseo García, ha perso la vita a causa di un proiettile che l’ha raggiunta alla testa.

Maduro, durante il discorso per la celebrazione della giornata dei lavoratori trasmesso alla televisione di Stato, ha affermato che tutte le forze di sicurezza sono al lavoro per catturare i golpisti ribelli e che “più prima che poi verranno messi in carcere affinché possano pagare per il loro tradimento e i crimini commessi”. Ha ringraziato tutta la popolazione che è scesa in strada per contrastare il golpe e manifestargli vicinanza, ha assicurato che i militari presenti nel video di Guaidó erano stati portati là con l’inganno e ha anche accusato gli Stati Uniti di aver fomentato una vera e propria guerra civile nel paese. 

Il presidente venezuelano ha aggiunto inoltre: “Chi vuole arrivare a Miraflores deve avere un solo requisito, vincere le elezioni grazie al voto del popolo, è l’unico modo per diventare presidente della Repubblica. Solo il popolo può dare e solo il popolo può levare, né pallottole né fucili imporranno mai un presidente”.

Agenzia Venezuelana di Notizie (AVN) ha segnalato inoltre che Twitter ha chiuso diversi account governativi e precisamente l’account del Ministerio del Poder Popular para la Mujer, quello del Ministerio del Poder Popular para la Educación e quello del Ministerio del Poder Popular para el Petróleo. Sono stati chiusi anche gli account del quotidiano VEA, del Correo del Orinoco e del canale televisivo ViVe Televisión.

Le motivazioni che hanno spinto il social network ad agire in questo modo non sono chiare ma è certo che il fatto che interferisca con gli affari venezuelani decidendo a chi dare o non dare la possibilità di esprimersi non è cosa corretta.

Non dimentichiamo infine che il Venezuela si trova al centro degli interessi di almeno tre super potenze mondiali, ovvero USA, Russia e Cina.

Il Segretario di Stato americano, Mike Pompeo, e il suo omologo russo, Sergei Lavrov, hanno avuto un colloquio telefonico in cui si sono reciprocamente intimati di smetterla di interferire con gli affari venezuelani. Nel frattempo John Bolton, consigliere per la Sicurezza Nazionale statunitense, ha affermato che al momento nessuna opzione è esclusa, neanche quella militare. Dal canto suo il presidente brasiliano Jair Bolsonaro ha affermato di voler mettere il suo territorio a disposizione dei militari americani per facilitare un eventuale intervento. Bolsonaro, pur appoggiando Guaidó non gli ha risparmiato delle critiche definendo il suo tentativo di golpe debole e disorganizzato.