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La sfida “Clinton-Trump” infiamma il dibattito politico internazionale

Due Americhe possibili? Si, perché nelle ultime settimane abbiamo “visto” con chiarezza il futuro, possibile, degli Stati Uniti. O almeno due dei futuri possibili, tutto dipenderà dal vincitore: Hillary o Donald? Per la prima volta, forse, abbiamo davanti due fotografie del Paese storicamente diverse fra loro. C’è infatti l’America di Hillary legata alla continuità e agli ideali dei padri fondatori e l’America di Donald che vuole “rompere” valori e dottrine che da sempre costituiscono l’immagine che il mondo ha di questo Paese. La rottura di Trump è radicale anche all’interno del partito repubblicano nonostante la parvenza di unità a Cleveland, la leadership del partito formata da George Bush e George W. Bush, Mitt Romney e Ted Cruz, i grandi finanziatori repubblicani come i fratelli Koch, respingono Trump perché capiscono la natura demagogica del suo cambiamento: la forza americana è sempre stata quella di avere un centro politico attorno al quale i due partiti, pur con battaglie feroci hanno combattuto le differenze. Se a Cleveland c’è stata unità è stata, forse, di “facciata”, i leader congressuali

respingono e disprezzano la prepotenza di Trump, aggressivo, offensivo e fuori dalla tradizione che ha unificato le regole della lotta politica. Mike Bloomberg, ex sindaco di New York ha affermato: «La scelta Trump è una scelta rischiosa, avventata, radicale che non ci possiamo permettere». Trump, grazie al linguaggio nuovo, all’insulto e alla sua “straripante” energia è riuscito a spaccare i parametri collaudati e radicati della politica americana. Ha attaccato gli eccessi e l’arroganza della correttezza politica per conquistare un mondo trasversale di opinione pubblica stanca delle parole e della superiorità intellettuale soprattutto della sinistra: «Tutto purché si cambi», sembra essere il motto dei trumpiani. Con le rivoluzioni tecnologiche che scardinano la sicurezza sul lavoro, il terrorismo, le tensioni razziali Trump ha avuto la genialità di capire come la sua personalità travolgente potesse coincidere con questo movimento di insofferenza secolare, «tutto, purché si cambi». E nonostante gli esperti, gli statistici, coloro che studiano le dinamiche del voto locale e regionale ci dicano che Hillary vincerà a novembre, oggi la partita è aperta. Alla fine delle due convention l’America è dunque a un bivio, e forse anche tutto l’Occidente.