Messina, 30 ottobre 2025 – Il collegamento stabile tra Sicilia e Calabria, da decenni al centro di promesse e studi, si trova oggi sotto una luce di forte cautela. La Corte dei Conti, con decisione del 29 ottobre 2025, ha negato il visto di legittimità alla delibera del CIPESS che approvava il progetto definitivo del ponte sullo Stretto di Messina, bloccando temporaneamente l’avvio dei lavori. Questa scelta rappresenta un nuovo significativo arresto per quella che è una delle grandi opere simbolo del Paese.
I magistrati contabili hanno evidenziato criticità multiple. L’iter amministrativo è giudicato incompleto o non del tutto conforme alle norme, mentre sul piano finanziario mancano garanzie solide. La trasparenza delle procedure appare insufficiente e la compatibilità ambientale con le direttive europee non pienamente dimostrata. L’investimento stimato supera i 13 miliardi di euro, cifra che richiede controlli rigorosi e governance chiara.
Sul piano tecnico‑ingegneristico emergono problemi di fattibilità critica. Il progetto definitivo prevede una campata unica di oltre 3.300 metri, definita dagli esperti come “una sfida al limite dell’esperienza ingegneristica mondiale”. La zona dello Stretto presenta elevata attività tettonica, con parametri antisismici adottati inferiori a quelli registrati in eventi comparabili. L’altezza del ponte, circa 72 metri sul livello del mare, riducibile a 70 metri in pieno carico, non garantirebbe il passaggio di alcune navi da crociera o portacontainer, con il 11‑17% delle portacontainer attuali impossibilitate a transitare. La coesistenza sulla stessa struttura di traffico ferroviario e stradale in un’area soggetta a venti oltre i 200 km/h, pur con resistenza dichiarata fino a 216 km/h, aggiunge rischi aerodinamici e dinamici non risolvibili con le attuali soluzioni progettuali. Esperti nazionali e internazionali concordano che, nelle condizioni progettuali attuali, l’opera non risulta tecnicamente fattibile.
Dal punto di vista procedurale, la società Stretto di Messina S.p.A., costituita nel 1981, era stata messa in liquidazione nel 2013 dopo aver accumulato centinaia di milioni di euro senza alcuna costruzione. Nel 2023 il governo ha riattivato la società, confermando vertici e documentazione tecnica, decisione considerata rischiosa da molti osservatori per possibili costi occulti legati a aggiornamento dei progetti, inflazione dei materiali e contenziosi legali con le imprese appaltatrici.
La stampa estera e gli analisti internazionali hanno sottolineato le implicazioni politiche, procedurali e tecniche del blocco. Reuters, il 29 ottobre 2025, ha evidenziato dubbi su finanziamento, trasparenza e obblighi tecnici, definendo la situazione un “duro banco di prova” per il governo Meloni. Financial Times ha sottolineato il valore simbolico dell’opera e le incertezze sulla sostenibilità e conformità alle norme europee. Associated Press ha interpretato il blocco della Corte come un segnale politico oltre che tecnico. Gli osservatori internazionali hanno rilevato la mancanza di un percorso reale di consultazione popolare, evidenziando come un’opera di tale portata richieda non solo competenze ingegneristiche avanzate, ma anche un confronto diretto con i cittadini e un rigoroso monitoraggio dei costi e dei rischi ambientali.
Il governo Meloni, con il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini, ha difeso l’opera come simbolo di rilancio del Sud e coesione infrastrutturale, ribadendo l’intenzione di procedere. Salvini ha definito la decisione della Corte un danno grave e un atto di natura politica più che tecnica. Meloni ha parlato di invasione della giurisdizione sulle scelte del Governo e del Parlamento. Le opposizioni e parte della società civile hanno interpretato il blocco come una vittoria dello Stato di diritto, chiedendo maggiore trasparenza e partecipazione.
Lo stop della Corte rappresenta un segnale politico e istituzionale importante, non solo un ritardo tecnico. Il progetto, con apertura cantieri stimata per il 2025 e completamento tra 2032 e 2033, entra in una fase di forte incertezza. La non fattibilità tecnica rilevata dagli esperti nazionali e internazionali rende necessario un ripensamento completo del progetto. Le alternative potrebbero richiedere nuovi studi progettuali, aggiornamenti dei parametri sismici e aerodinamici, revisione dei materiali e considerazioni approfondite sugli impatti ambientali. Crescono le richieste di trasparenza e partecipazione pubblica attraverso consultazioni o dibattiti locali. In assenza di una soluzione tecnica percorribile, l’opera rischia di rimanere sospesa con costi pubblici significativi e benefici incerti.
La vicenda del ponte sullo Stretto dimostra che le grandi opere richiedono più dell’entusiasmo politico. Servono rigore, controllo, trasparenza e partecipazione, perché la governance delle infrastrutture deve essere solida quanto l’ingegneria che le realizza. Il blocco della Corte dei Conti non è solo un ritardo, ma un monito chiaro per tutti gli attori coinvolti, tecnici, politici, istituzionali e cittadini.
In un Paese in cui le grandi opere sono spesso terreno di scontro politico e amministrativo, la decisione della Corte dei Conti evidenzia la necessità di un dibattito trasparente, scientificamente fondato e partecipato, e solleva la domanda se il ponte – alla luce delle criticità tecniche, dei costi, dei rischi ambientali e della volontà popolare – abbia ancora senso oggi e in quali condizioni.
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