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Falcone 26 anni dopo

Io c’ero il 23 maggio 1992… era una di quelle giornate come tante…

A scuola, perché ancora bambina, ci preparavamo alle imminenti vacanze estive, quelle col calippo e il ghiacciolo, un paio di pantaciclisti e via in bici, senza cellulari e rintraccibilità, senza troppi fronzoli su privacy e garanti, senza varie ed eventuali che ad oggi ammorbano l’odierna gioventù.

C’ero quando fu data la notizia nella versione del tg 1 in edizione straordinaria, c’ero io e c’era mio padre, lo ricordo bene in infortunio per un’operazione al menisco che lo aveva costretto ad una fase riabilitativa da lui definita “lunga prigionia curativa”…

E glielo chiesi, ingenua come solo una bambina può essere, “perché l’hanno ucciso papà?” e lui, come sempre, serio e sincero, forse troppo ma mai abbastanza mi rispose “perché era un Uomo”….

Non capii, non subito, non allora.

I giorni passarono, si confusero le parole, mafia, manifestazioni, stragi.

Già perché era, allora, la mafia delle stragi, quella che si sporcava di rosso le mani e pitturava di sangue le periferie della nostra bella Sicilia, era la mafia del silenzio, quella che voleva fare paura, quella che si insidiava tra la gente e spaventava, minacciava, estorceva denaro e vite al prezzo di troppi, tanti silenzi… Non capii, ma iniziai a riflettere e, poco tempo dopo, iniziai anche a chiedermi cosa volesse dire essere un Uomo.

La risposta me la diede sempre mio padre, quando nel vicinissimo 19 luglio 1992 anche Borsellino veniva barbaramente ucciso… Lo vidi commosso, spaventato forse, o forse adirato col sistema che non riusciva a proteggere chi, invece, proteggeva lo Stato e per mio padre lo Stato eravamo noi. Mi guardò e mi disse “Uomo è chi la storia la fa, Uomo è chi crede sempre nella legalità e non cede al vizio, alla corruzione, alla strada facile ed ipocrita che il verminaio ben conosce, Uomo è colui che lotta, lotta sempre anche a costo della vita perché sa che non importa quanto difficile sia, che non importa vincere o perdere, ma cambiare, importa cambiare…”.

Adesso so che Falcone e Borsellino non hanno fatto la storia, l’hanno cambiata perché ci hanno dato una speranza… La mafia, ahinoi è un cancro duro da sconfiggere. Non usa più le armi da basso lignaggio, lascia che le piccole beghe siano sbrigate dalla criminalità spicciola e per generare sempre più proseliti, adesso si traveste e si nasconde, nel tempo, infatti è divenuta “qualificata e professionale”, tanto silente e viscida al punto che serpeggia ormai indisturbata tra i palazzi perbene, come tra i desolati e abbandonati villaggi di tutto il bel Paese e continua a ordire stragi nel cuore della buia notte che vorrebbe tutti noi vivessimo. Stragi di numeri, di padri di famiglia che si svegliano all’alba per andare a guadagnare un tozzo di pane senza sapere se rientreranno indenni, stragi poiché fomenta l’odio dei popoli, stragi perché sotterra la cultura… un popolo ignorante è facile preda, un popolo senza memoria può essere soggiogato.

“Non dimenticare – diceva mio padre – non dimenticare, quando sarai grande che si deve essere Uomo”…

Non ho dimenticato, nessuno lo ha fatto ed è per questo che Falcone a 26 anni dalla sua morte ancora vive ed è per questo che non bisogna avere paura. La storia può e deve essere cambiata laddove occorre perché la storia siamo noi, noi lo Stato, come diceva mio padre, e noi possiamo e dobbiamo essere Uomini.