L’Isis e le nuove alleanze nel mondo arabo

La Libia del post-Gheddafi dovrebbe costruire una solida alleanza anti-Isis, che tenga assieme centinaia di partiti e di tribù, ma la realtà dice che sarà molto complesso unire gli intenti di molteplici ordini di pensiero.

L’assordante silenzio di Teheran e il sostegno dell’Arabia Saudita, gli avvertimenti di Hamas è mondo arabo e musulmano che ridefinisce le proprie posizioni e stringe nuove alleanze caratterizzando la risposta all’avanzata dell’Isis in Libia.

Il sussulto militare diplomatico dell’Egitto di Abdel Fattah al-Sisi, oltre all’alleanza stretta tra il Cairo e Amman segnalano una scacchiere geopolitico in pieno fermento. In gioco la sicurezza stessa dei paesi euro-mediterranei, in primis l’Italia. Hamas, ad esempio, respinge le ingerenze in Libia “da parte di alcuni Paesi come l’Italia” che recano “il pretesto di combattere il terrorismo”, ad affermarlo è uno dei massimi dirigenti dell’organizzazione Salah Bardawil, citato dall’agenzia Palinfo. Un intervento militare, infatti, sarebbe considerato “una nuova crociata contro Paesi arabi e musulmani”, ha spiegato Bardawil. Sembra quindi che i “fratelli” arabi inizino a mostrare crepe nella presunta unione, soprattutto non vedono di buon occhio un legame tra la guerra all’Isis e il rafforzamento di potenze che non nascondono la loro volontà di giocare un ruolo dominante nella definizione dei sistemi del nuovo Grande Medio Oriente.

La Turchia di Erdogan, ad esempio, ha vincolato la sua azione militare contro le milizie jihadiste in Siria all’accettazione di una premiership di Ankara nella gestione del dopo-Assad, scontrandosi così con le mire dell’Iran, grande sostenitore del regime baathista siriano, e con quelle della dinastia Saud e delle petromonarchie del Golfo. Il presidente egiziano, d’altro canto, si è visto spalleggiato dal presidente dell’Autorità nazionale palestinese, Mahmoud Abbas (Abu Mazen) segno che i vari fronti “caldi” investono anche la Palestina. Rimane quindi un dato incontrovertibile: nella guerra al Califfato sta ridefinendo alleanze che superano il “vecchio” schema sunniti contro sciiti e mettono in rilievo comuni interessi geopolitici e di stabilità interna.

Ecco spiegato infatti il sostegno politico e militare all’Egitto offerto dall’Arabia Saudita del nuovo re Salman, convinto di dover reagire come il re Abdullah di Giordania inferocito dopo l’orrenda esecuzione del pilota Muath al-Kasasbeh. Nel caos libico operano oltre duecento milizie armate, questo non fa che aumentare la confusione, i ruoli sempre meno netti e le responsabilità istituzionali di un paese senza leadership. La Libia del post-Gheddafi dovrebbe costruire una solida alleanza anti-Isis, che tenga assieme centinaia di partiti e di tribù, ma la realtà dice che sarà molto complesso unire gli intenti di molteplici ordini di pensiero.

Questa quindi l’istantanea di oggi, un governo nella capitale Tripoli, dominato dalla coalizione Fajr Lybia e sostenut da Qatar e Turchia insieme con milizie tribali e locali. Un governo esecutivo, approvato internazionalmente ma dichiarato “incostituzionale” dalla Corte Suprema qualche mese fa, è fuggito a Tobruk quando Fajr Lybia ha occupato la capitale. Abdullah al Thani, il premier del governo libico riconosciuto dalla comunità internazionale, torna a chiedere all’Occidente di sferrare un’offensiva aerea per snidare i jihadisti che controllano Tripoli, ma contemporaneamente dice no a un intervento di terra. Il dialogo rimane tutto da edificare in una regione, quella nordafricana esposta alla violenza in maniera sempre più esponenziale.
Inoltre, la crescita della presenza dell’Isis in Libia preoccupa fortemente i governi di Tunisi e Algeri possibili “future” vittime delle milizie di Abu Bakr al-Baghdadi.

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