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I banditi del tempo

Il fatto è noto: tra il 28 novembre e il 1° dicembre 2018 si è tenuto a Roma il 63° congresso nazionale della società italiana di gerontologia e geriatria. In quella sede sono state ridefinite le età evolutive umane.

Il fatto meno noto è che quest’anno ho archiviato il mio primo mezzo secolo di vita. Adesso questi eventi istituzionali iniziano a interessarmi parecchio: mi aspetto che, da un momento all’altro, inizino a parlare anche di me.

La grossa delusione è arrivata quando, da quella sede autorevole, è arrivata impetuosa la notizia dell’innalzamento del limite superiore della mezza età. Il bambino ha parlato, il re è nudo e non si può più fare finta di niente: si diventa anziani a 76 anni.

Tutti i quotidiani – le cui redazioni sono composte, si sa, da persone di mezza età – hanno rilanciato con gioia la novità, accompagnandola con grafici e schemini che oggi è bello dire “infografiche”: da 0 a 6 anni, infanzia; da 6 a 12, fanciullezza; da 12 a 18, adolescenza; da 18 a 35, giovinezza; da 36 a 75, mezza età; da 75, finalmente vecchiaia.

All’inizio mi ha colto un po’ di sconforto. Un altro quarto di secolo di mezza età. Dannazione! Ho visto allontanarsi il bianchetto con gli amici al bar, la panchina nel parco sotto casa, le invettive contro le motorette e i cellulari, l’osservazione attenta dei lavori in corso… Un sogno di pace, interiore ed esteriore, andato in frantumi con un suono sordo.

Poi lo spirito cospirazionista si è impossessato di me e ho iniziato a pensare al complotto che sta preoccupandosi del mio tempo: lo ruba, lo sposta, lo nasconde e poi ne fa perdere le tracce. Mi sono venute in mente alcune idee e ho iniziato a rollarle tra le dita, come si fa con certe sigarette che ignorano il monopolio di stato, fino a quando sono diventate paradossali.

Ho iniziato a lavorare diciannovenne. Mi sono subito sentito adulto e autosufficiente: capace di bastare a me stesso. Passati dieci anni, avevo accumulato un’esperienza sufficiente a farmi sentire grande. Da quel momento, ventinovenne, mi sono considerato un signore di mezza età, deciso ad attraversare questo periodo della mia vita come se fosse un’età di mezzo che mi avrebbe condotto alla modernità.

Lo sappiamo: lo storico francese Jacques Le Goff parla di tempo continuo della storia ma, diciamocelo, questo Medioevo rischia di durare un po’ troppo… E il Rinascimento?

Mentre la mia mezza età si allunga a dismisura, arrivando a coprire più di metà del tempo che avrò a disposizione, penso alle persone che si affacciavano al mondo adulto e, invece, si sono scoperti costretti a rimanere giovani per sempre. Confidavano in un’età adulta e scoprono che la loro pena è stata estesa a dismisura. Come se non fosse stato sufficiente sopravvivere a quella lunga adolescenza di corpi che si trasformano, diventando mostruosi.

E che dire poi dei quarantenni? Una masnada di individui che, leggendo lo stesso grafico, è impallidita dicendo “Ma come… Mezza età a 36 anni? Ma siamo matti? Noi saremo per sempre giovani.”

Non stupisce che “Stranger Things” dei fratelli Duffer, una bellissima storia d’infanzia ambientata negli anni ’80 del secolo scorso, sia diventata importante tanto per chi quegli anni li ha attraversati (con qualche ferita, con le spalline cucite anche nelle camicie e con tanta musica ignobile) e chi li ha solo idealizzati. L’estensione della mezza età ha costruito una comunità di teledipendenti il cui immaginario infantile si estende da “Belfagor, il fantasma del Louvre” ai Pokémon. Da Kabir Bedi a Dragonball.

E gli anziani? Mio padre è nato nello stesso anno in cui è morto Rudyard Kipling, in cui è entrata in produzione la Fiat 500 “Topolino” e in cui è iniziata la guerra civile spagnola. Ricordo con precisione la sua crisi di mezza età: c’ero. Ricordo il momento in cui si è scoperto anziano: c’ero. Da un sacco di anni, pare essere completamente indifferente alle invettive, alle panchine e pure ai lavori in corso. Per sapere in quale parte del mondo è, devo chiamarlo sul cellulare. Se può, mi risponde; se è occupato mi manda un WhatsApp.

E poi, in questa nuova classificazione delle età, c’è quella nota scritta in piccolo, come nel bugiardino del più letale tra i farmaci, che sembra mettere in guardia da un effetto collaterale spaventoso: “non esiste antidoto”.

Dire che nessuno di noi sarà anziano fino ai 75 anni indica con chiarezza fino a quando dovremo lavorare senza motivo di lamentela.

Dire che la gioventù si sposta in avanti, ci segnala con precisione quando saremo pronti per essere accolti dal mercato del lavoro e potremo finalmente acquisire la nostra autosufficienza.