La fuga dei cervelli dall’Italia

I giovani italiani guardano all’estero per nuove opportunità lavorative e ascesa sociale

Molti giovani scelgono di trasferirsi all’estero dopo la laurea, per avere migliori opportunità lavorative o quantomeno più retribuite. In tredici anni, nel periodo compreso dal 2011 al 2023, sarebbero 550 mila i giovani italiani di 18-34 anni emigrati all’estero, verso i principali paesi europei economicamente avanzati, questi i dati dell’ISTAT.  Al netto dei rientri, il dato è pari a 377 mila.

“I giovani tra 11 e 35 – ha evidenziato Cinzia Conti (ISTAT 2024) – che risiedono all’estero sono 1,6 milioni. Una popolazione che sta aumentando e che sta cambiando, perché un segmento rilevante sta acquisendo la cittadinanza dei Paesi dove sono emigrati. La quota di ragazzi di 11-19 anni che vorrebbero vivere all’estero da grandi sono il 30,7% e le ragazze il 37,9%. Il Paese più indicato sono gli Stati Uniti. I dati mostrano anche una relazione che vede una maggiore propensione ad andare all’estero per chi appartiene a una condizione socio-familiare meno buona”. Qui il report completohttps://www.cnel.it/Comunicazione-e-Stampa/Notizie/ArtMID/1174/ArticleID/4378/PRESENTATO-AL-CNEL-IL-RAPPORTO-GIOVANI-ALL%E2%80%99ESTERO

Un fenomeno sociale che desta non poche preoccupazioni per i rischi connessi di depauperamento culturale, economico e scientifico di un Paese, dovuto alla emigrazione verso paesi stranieri di giovani e meno giovani  in possesso di titoli  ad alta specializzazione denominata  “fuga dei cervelli” (in inglese human capital flight, o spesso brain drain). Una definizione che per analogia concettuale rimanda al termine  “fuga dei capitali”, ossia un processo di  disinvestimento  finanziario da aree non favorevoli all’impresa.

 Nel 1997,  da un rapporto dell’Ocse sui movimenti di personale altamente qualificato sono emersi  elementi  diversi che si sono aggiunti al brain drain classico, come brain exchange, lo scambio di cervelli. Ovvero flussi bilanciati di risorse intellettuali in entrata e uscita tra i Paesi. Segue poi la  circolazione dei cervelli, o brain circulation, termine che indica un percorso di formazione secondo cui ci si trasferisce all’estero per il perfezionamento degli studi unitamente ad esperienze lavorative  per rientrare al loro completamento e iniziare il percorso professionale  secondo le competenze acquisite.

Quest’ultima costituisce  prassi consueta nell’Unione Europea, impegnata da decenni nella promozione degli scambi  interattivi  tra i Paesi membri.

L’Ocse infine evidenzia il brain waste, lo spreco di cervelli. Un fenomeno caratterizzato dalla  emigrazione non fisica ma  occupazionale. Secondo cui vengono svilite e spesso perdute le competenze altamente qualificate a fronte di impieghi non richiedenti la formazione specialistica ottenuta. Per esempio un dottore in biologia che trova occupazione nel settore amministrativo di una azienda farmaceutica.

Allora ci si chiede quando concretamente sia possibile parlare  di fuga dei cervelli? Le informazioni in proposito fanno riferimento allo sbilanciamento del flusso netto delle risorse umane altamente qualificato verso una sola direzione. In questi casi l’assenza di scambio formula il drenaggio,  rappresentato da  una perdita di risorse umane per il Paese da cui si emigra. Ed è esattamente ciò che accade in Italia soprattutto nel settore della ricerca. Il fenomeno si può certamente definire una fuga equivalente ad una perdita.

A partire dalla seconda metà degli anni Novanta, a fronte di un aumento di laureati, la domanda di lavoro non manuale in Italia è rimasta stabile, questo ha generato un aumento di laureati che fatica a trovare un lavoro inerente al titolo di studio acquisito, generando instabilità lavorativa e frammentazione delle carriere.

Inoltre, le scarse opportunità di buona occupazione sono anche distribuite secondo l’origine sociale, creando ancora più diseguaglianza.

Ogni anno l’Italia perde circa 8 mila giovani laureati di età compresa tra i 25 e i 34 anni, questi giovani scelgono di andare via e cercare un lavoro oltre i confini italiani dove anche il salario è più allettante rispetto agli standard del nostro paese. La “fuga dei cervelli” è un fenomeno che ha subìto una grande spinta a partire dagli anni 2000 in concomitanza della crisi economica che ha colpito l’Italia. Il giovane italiano è ben voluto all’estero in quanto la sua formazione universitaria è buona, ma il sistema italiano non riesce ad assorbire tutto il capitale umano formato nelle università e spesso perché l’accesso al mondo del lavoro non segue metodi del tutto meritocratici e trasparenti.

Chi parte non è solo attratto da migliori salari, ma anche da sistemi di welfare più attenti al merito, con maggiore mobilità salariale, chi parte cerca più chances che in Italia non ci sono abbastanza, almeno non per tutti. La conseguenza è che questa fuga dei cervelli nel medio-lungo termine può compromettere l’economia italiana e le sue finanze pubbliche, in quanto causa una importante perdita di capitale umano in tutti i settori economici dal primario al terziario del nostro territorio.

Fonte ISTAT

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