Shirin Neshat, la sua arte la voce delle donne iraniane

S. Neshat è l’artista iraniana più celebre del suo paese che, con la sua arte da voce a tutte le vittime di ingiustizie, soprattutto le donne

Nata il 26 marzo del 1957, Shirin Neshat è un’artista iraniana di arte visiva contemporanea famosa soprattutto per il suo lavoro nel cinema, nei video e nella fotografia.

Il suo talento e la sua voce sono strumenti di denuncia nei confronti di un paese che, attraverso le sue leggi restrittive, impedisce alle donne di esprimersi e di essere libere.

Khomeini


Neshat scelse di diventare un’artista per documentare la realtà e criticare le regole e le costrizioni a cui le donne devono sottostare da oltre quarant’anni, quando i religiosi guidati da Ruhollah Khomeini, presero il potere a Teheran ‘cacciando’ lo scià Mohammad Reza Pahlavi, il re che governava dal 1941.

Reza Pahlavi e la miglie Farah Diba

Khomeini nel 1979 impose un governo mai visto prima che influenzò le sorti di tutto il Medio Oriente.

S. Neshat pone dunque maggior enfasi al ruolo nella società approfondendo il significato sociale, politico e psicologico dell’essere femmina in una società maschilista.
Il suo primo cortometraggio risale al 2009: Donne senza uomini. Questa drammatica pellicola, dedicata a tutti coloro che hanno perso la vita nella lotta per la libertà e la democrazia in Iran, è valso a Neshat il “Leone d’argento” per la miglior regia alla Mostra del cinema di Venezia.

Ricordiamo anche la sua serie di fotografie denominata “Women of Allah”, un’opera d’arte composta da una moltitudine di scatti tra il 1993 e il 1997 testimonianti il profondo cambiamento che ha interessato l’Iran dal punto di vista politico e sociale. La sua arte, quindi, è una forma di rivalsa per la repubblica islamica presidenziale teocratica in cui si avvicendano il larvato carattere democratico e quello dittatoriale. In realtà si tratta di un sistema politico atipico. La definizione non è di semplice individuazione.

Il sistema politico iraniano, prevede alcuni centri di poteri elettivi , per cui non ricalcherebbe le tipicità di una dittatura propriamente detta, al tempo stesso non è nemmeno una democrazia, perché all’interno degli organi politici molti componenti istituzionali non sono eletti ma destinatari di una nomina ad personam. La loro appartenenza si riferisce allo schieramento politico religioso maggiormente conservatore. Per effetto della forma di governo islamica teocratica, i dettami costituzionali in Iran dispongono che siano solo i religiosi ad esercitare la funzione politica. Ma nei fatti cosi non è. Non sempre i politici iraniani sono religiosi. Ne deriva dunque ‘catalogazione’ ibrida difficilmente classificabile.

Tornando all’opera artistico- sociale “Whomen of Allah”, Neshat tende a sradicare il concetto di corpo femminile inteso come vergogna, peccato e provocazione. Shirin, tramite ritratti statici e frontali, vuole esprimere forza ed energia. L’utilizzo del bianco e del nero, inoltre, conferiscono alle foto i contrasti necessari per rendere dinamici i soggetti raffigurati.

I suoi obbiettivi artistici non sono però esplicitamente polemici come si potrebbe pensare, il suo scopo è quello di riconoscere le forse intellettuali e religiose complesse che modellalo l’identità delle donne mussulmane nel mondo intero.
La potenza della sua arte come denuncia sociale ha avuto ovviamente delle ripercussioni sulla vita della coraggiosa donna iraniana. Costretta all’esilio, il governo del suo paese ha voluto allontanarla da casa in modo che non potesse più evidenziare le fallacie del sistema democratico.

Nonostante sia stata costretta ad abbandonare Qazvin questo non le ha impedito di far sentire la propria voce anche da New York dove adesso vive. Tramite il suo profilo Instagram (shirin_neshat) rappresenta la sua forza e la sua voglia di rivoluzione. Utilizzato per fare informazione e del bene tramite donazioni si impegna a 360 gradi per dare il suo contributo nel mondo.

Shirin Neshat, si schiera con le rivolte del suo Paese. “Ragazze, l’Iran è vostro” esclama, confermandosi così tra le icona della forza femminile di contrasto alle oppressioni.

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