Liberi dopo un trauma. La violenza di genere raccontata nei corti di Barbara Sirotti

Aria e Libera sono due super short di 2 minuti e 59 secondi che riproducono l’esperienza vissuta in prima persona dalla stessa protagonista, Barbara Sirotti, vittima di una violenza subita dalla persona a lei più cara: il suo ex compagno. Un’occasione per parlare dell’elaborazione del trauma con la psicologa Sabrina Melpignano e l’avvocato Monica Nassisi.
Da sinistra: Marco Bonardelli, Barbara Sirotti, Benedetta degli Innocenti, Monica Nassisi e Sabrina Melpignano

Roma, 24 ottobre 2022 – Una cornice di festa in uno spazio glam: la Festa del Cinema di Roma e gli spazi Spazio Roma Lazio Film Commission stridono con le proiezioni dei due corti – Aria e Libera– che affrontano il tema di quella violenza di genere che riempie le cronache di quasi tutti i giorni. Parliamo della violenza subita dalla persona più vicina e che non dava segnali di poter essere così crudele: il proprio compagno. Barbara Sirotti, interprete e regista del corto “Aria” – il corto metraggio super short già vincitore di ben 61 riconoscimenti nazionali ed internazionali- e di “Libera”, il sequel presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma, non risparmia nulla allo spettatore e lo trascina dentro un vortice temporale in cui il passato si mescola al presente e da cui la vittima esce solo “uccidendo cinematograficamente” sé stessa.

Barbara Sirotti, sostenuta da doppiatori tra cui Luca Ward, Francesco Pannofino e Benedetta degli Innocenti che hanno partecipato come voci e attori ai due corti, cede alla pellicola l’elaborazione dolorosa della violenza, un percorso rappresentato dalla metafora del calice amaro che la vittima, per ritrovare sé stessa, deve bere fino all’ultima goccia.

Un’elaborazione durante la quale è fondamentale il supporto di uno specialista.

È in questa veste che è intervenuta alla presentazione la psicoterapeuta Sabrina Melpignano, non ché membro della Sezione di Sabaudia di FIDAPA, l’associazione che da anni è impegnata nell’educazione alla prevenzione della violenza di genere con numerose iniziative rivolte alle scuole e che ha sostenuto il progetto della Sirotti fin dall’inizio.

“La vittima di una violenza raramente viene in terapia di sua iniziativa. È inviata da un’amica, dalla mamma oppure si avvicina alla terapia per un tono dell’umore, per una sensazione di stanchezza e solo dopo molte sedute si inizia ad affrontare il trauma subito”. La vittima vive una devastazione psicologica che la conduce ad amnesie dissociative, un meccanismo di protezione che la mente mette in atto per tutelare la persona ma che porta ad un distacco dalla realtà, ad un congelamento emotivo in cui non ci si sente più vivi. “La terapia richiede molto tempo e pazienza, la persona è come stordita e si crea una bolla di protezione. Quando si inizia a risvegliare il ricordo allora si entra nella fase più delicata perché la consapevolezza della violenza subita genera sofferenza. È un livello a cui non tutti arrivano ma che è necessario per iniziare ad uscire e intravedere una luce”.

In questo quadro, spiega Melpignano, l’educazione dei giovani e la prevenzione sono le due azioni su cui occorre insistere. Tema su cui concorda anche l’avvocato penalista Monica Nassisi, da anni impegnata nella difesa delle vittime di pedofilia, della violenza di genere, dei maltrattamenti in famiglia, che evidenzia il dolore del farsi carico di processi a difesa delle vittime, spesso rappresentate dai famigliari in quanto non più vive.

La mia vita è cambiata con un caso in particolare, a volte è troppo anche per noi e dobbiamo farci aiutare da specialisti”. Racconta di processi di cui non vorresti mai sentir parlare: una giovane donna colpita 47 volte dal compagno a cui è stato contestato solo l’omicidio semplice; una bambina costretta a subire rapporti e poi ad abortire; un pedofilo che ha tentato di comprare per 300 euro al mese una bimba. Tutti condannati. Ma non basta.

Queste situazioni devono essere intercettate prima, servono case rifugio che esistono ma sono di difficile accesso. Serve personale attento, troppo spesso le donne vengono rimandate a casa con troppa leggerezza dalle forze dell’ordine, talvolta viene consigliato di tornare con una denuncia scritta da un avvocato. E poi queste donne sono costrette a rivivere attraverso il racconto troppe volte la violenza subita”.

Personalmente dubitavo di alcuni ricordi – racconta Barbara Sirotti- non ero più sicura di nulla e vivevo in un loop spazio temporale che ho cercato di raccontare nel secondo corto, Libera, in cui la percezione del tempo diventa circolare, e i fatti sono collegati non dalla razionalità ma dalle emozioni. Ho attraversato un deserto personale, difficile, ma ho dovuto attraversalo tutto per essere di nuovo libera. E ora sono libera”.

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Foto: Marta Tersigni

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