Squid Game: una serie tv controversa

La censura non è la soluzione

In pochissimo tempo Squid Game è diventata la serie coreana di Netflix più vista in Italia e nel resto mondo. Squid Game, che in quanto a visualizzazioni ha superato anche La Casa di Carta, è di fatto un vero fenomeno della cultura pop moderna al tempo dei social e della tv fruita attraverso lo schermo di un pc. 

Una storia che miscela la satira sociale a una lotta per la sopravvivenza. Lodata per i suoi temi e la sua messa in scena, c’è chi non vede di buon occhio il successo ottenuto da Squid Game. Come dimostrano i recenti fatti di cronaca, la serie sta diventando ingestibile perché viene emulata da un pubblico di giovanissimi, soprattutto da bambini che frequentano le medie e le elementari.

La Repubblica, ad esempio, aveva riportato di un fatto avvenuto in una scuola media di Torino dove un ragazzo è stato preso a schiaffi solo perché non aveva superato una prova organizzata dai compagni. Ma non è tutto. Episodi simili sono avvenuti a Milano e Firenze. Uno in particolare, dove un ragazzino è stato costretto a lanciare il suo zaino dalla finestra.

A fronte di questa emergenza, il Moige, movimento italiano genitori onlus, chiede un aiuto concreto per mettere un freno all’effetto Squid Game. “I gravi episodi in seguito alla visione della serie tv confermano che non basta segnalare un prodotto come inadeguato ai bambini per salvarli dai rischi – aggiunge la vice presidente -, ma che sia urgentissimo adoperare tutti gli strumenti, tecnologici ed educativi per impedire la visione almeno agli under 14”. Ad oggi il colosso dello streaming ha vietato la visione ai minori di 14 anni ma su Netflix non esiste un vero e proprio parental control che possa impedire ai giovani di vedere prodotti non idonei alla loro fascia di età, inoltre scene della serie sono possibili reperire tramite alcuni social o canali di streaming. 

La trama non è nulla di particolarmente originale, ma ciò che ha reso la serie un culto non è certo il plot. Le scenografie inquietanti, i colori pastello della prigione in cui i contendenti sono rinchiusi, i guardiani dalle facce coperte che scandiscono la vita dei giocatori, le maschere dei vip che assistono ai giochi: mille sfaccettature e una cura maniacale per i particolari sono gli ingredienti che stanno rendendo la serie un fenomeno di costume. Affidato a una regia sapiente, dopo essere riusciti ad entrare nella “lentezza” tipica dei dialoghi e della cinematografia sudcoreana l’effetto è straniante ma anche divertente. E al di là del grottesco, del sangue e dell’angoscia di certe ambientazioni il film porta alla luce tanti temi cari alla cultura sudcoreana. Come già nel premiatissimo “Parasite” (Oscar e Palma d’Oro a Cannes) è anche qui presente il tema della stratificazione delle classi sociali, tanto sentito in Corea del Sud: paese cresciuto economicamente in maniera tanto veloce da creare forti contrasti. E poi anche il tema del gioco d’azzardo, della scommessa: una costante imprescindibile per comprendere i meccanismi della trama. 

Ma come ogni fenomeno mondiale che si rispetti anche Squid Game arriva accompagnato dalle immancabili polemiche, che in un’onda tipica del tam-tam dei social, notizie da ogni parte del mondo rimbalzano ovunque: ma il tema è sempre quello. 

Giusto o no che anche i bambini abbiano accesso alla visione della serie? A prescindere dal fatto che su Netflix il prodotto è vietato ai minori di 14 anni, non c’è dubbio che i bambini possano avere accesso a qualsiasi cosa tramite i loro dispositivi. E che in rete circola parecchio materiale riguardante la serie: foto, video, commenti e quant’altro. Ecco allora che sui social di mezzo mondo rimbalzano notizie di bambini che giocano a “Un due tre stella” e si fanno male, altri che mimano il gesto della pistola contro i compagni eliminati dai giochi, altri ancora che giocano a biglie a campana o al tiro alla fune con fantomatiche regole a eliminazione. Ovviamente non si può dare la responsabilità alla “rete”, o ai bambini che curiosi si muovono in un mondo a volte poco sicuro, affidando ad un parental control la gestione dei nostri figli. Il punto centrale è proprio questo, in primis la relazione che abbiamo con i nostri figli, in cui il controllo, ma anche il dialogo aperto e costruttivo dovrebbe essere la base educativa, gli organi di formazione come la scuola insieme alla famiglia dovrebbero essere in grado di affrontare tematiche come queste. Possiamo pensare di creare leggi o regole più stringenti, in cui cercare di governare la rete, cercare di limitarne spazi e “luoghi”, ma la rete per sua natura non ha limiti, non ha regole, pensiamo al dee web o al dark web. credo che sia più concreto, e più efficace riuscire cercare di creare una relazione aperta e di supporto con i propri figli, dove insieme agli organi di formazione, scuola, oratorio, centri aggregativi, si crei una sinergia che favorisca la crescita sana del minore. 

Sono in atto in questo caso specifiche petizioni per stoppare la produzione e la messa in onda della serie, che però spostano solo il problema senza affrontare il nucleo centrale, che dovrebbe essere la relazione con il minore. Diceva Don Bosco: “Nessuna predica è più edificante del buon esempio.” Compresa la censura. 

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