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Bosnia Erzegovina. Centinaia di rifugiati stanno morendo congelati al confine croato

Quello che sta accadendo al confine tra Bosnia e Croazia ha dell’assurdo e del tragico. Centinaia di persone sono bloccate in quello che ormai è diventato un collo di bottiglia verso l’Europa. Il campo profughi Lipa nei pressi della cittadina di Bihac è diventata una delle tappe fisse della cosiddetta Rotta Balcanica, il percorso ricco di ostacoli e insidie – basti pensare solamente alla violenta polizia bulgara – seguito dai migranti che porta dal Medio Oriente (dalla Turchia principalmente) ai Paesi europei, come la Croazia. Tuttavia, negli ultimi anni, la Croazia ha attuato una stretta (mossa soprattutto dalla pressione delle istituzioni europee per arginare a ogni costo l’ingresso di migranti in Europa) verso i confini con Bosnia e Serbia, entrambi Paesi non UE, quindi non rientranti nelle politiche – e garanzie – europee. Questa stretta si è concretizzata in respingimenti coatti e violenti da parte delle autorità croate verso i vicini Paesi confinanti, rendendo dunque la Bosnia (come peraltro la Serbia) appunto dei colli di bottiglia che continuano ad intasarsi e a far vivere situazioni estreme, ben oltre il limite del sopportabile, a coloro che si accingono ad attraversare la Rotta “via terra” verso l’Europa.

Circa tre mesi fa (era il 10 novembre 2020), l’ufficio del Mediatore europeo aveva annunciato l’apertura di un’indagine sulla possibile complicità della Commissione Europea nella violenza ai confini croati contro migranti e rifugiati.

Tale “mossa” è stata suggerita da numerosissimi appelli di organizzazioni non governative (tra cui Amnesty International, il Danish Refugee Council, e altri) che denunciavano le efferatezze delle violenze condotte dal personale di polizia soprattutto al confine croato-bosniaco per impedire l’accesso ai migranti e richiedenti asilo all’Europa. Le violenze, riportano le organizzazioni, non hanno risparmiato neanche bambini e donne, spesso soggette a stupri e altre forme di violenze sessuali. Dunque l’ufficio del Mediatore europeo dovrà valutare se sussiste una responsabilità della Commissione Europea (quindi dell’Europa) per non aver assicurato che un Paese membro, la Croazia, rispettasse i diritti umani fondamentali dell’Unione mentre conduceva operazioni di frontiera finanziate dall’UE. Infatti, la Croazia è beneficiaria di oltre 108 milioni di euro nell’ambito del Fondo internazionale per la migrazione e l’asilo dell’UE (FAMI) e dal 2017 ha ricevuto altri 23,3 milioni di euro per l’assistenza nella gestione delle frontiere. Nel concreto questi aiuti pagano gli stipendi delle forze di polizia che sono state ripetutamente accusate di respingimenti illegali e di abusi nei confronti di migranti e richiedenti asilo.

Purtroppo la condizione di questi migranti e richiedenti asilo, non si riduce alle “sole” violenze e respingimenti alla frontiera. Infatti, il loro viaggio verso l’Europa (spesso causato dalla ricerca di un luogo sicuro), e i molteplici tentativi di superare le frontiere bosniaco-croate, si comprendono nelle condizioni di vita a cui sono soggetti in questi Paesi “terzi” come la Bosnia. Esempio calzante è il campo nei pressi di Lipa, come annunciato a inizio notizia. Il campo, inaugurato ad aprile e che sarebbe dovuto durare pochi mesi, è stato distrutto a fine anno da un terribile incendio che fortunatamente non ha portato nessuna vittima. Le forze governative hanno ritenuto responsabili alcuni “ospiti scontenti” del campo che si sarebbero dileguati poco prima che le fiamme prendessero vita. Ciò non toglie che oggi, a causa del crollo delle temperature, della neve e del vento sferzante, migliaia di migranti e rifugiati sono costretti a vivere in un luogo dichiarato inadeguato secondo gli ufficiali internazionali e i membri delle ONG che lo hanno visitato.  “È caduta la neve, temperature sotto lo zero, niente riscaldamento, niente”, ha twittato il capo della missione dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni in Bosnia, Peter Van Der Auweraert. L’OIM, insieme al Danish Refugee Councile e a UNHCR hanno emesso una dichiarazione congiunta in cui si sottolineava come “le strutture ancora esistenti sul posto non sono sicure e rischiano di crollare a causa delle continue nevicate. In assenza di riscaldamento nel sito, congelamenti, ipotermia e altri gravi problemi di salute sono già stati segnalati da coloro che sono rimasti bloccati sul posto”. Infatti in molti rifugiati intervistati hanno dichiarato “Viviamo come animali. Anche gli animali vivono meglio di noi”, “Se non ci aiutano, moriremo, quindi per favore aiutateci”.

Infatti il comunicato prosegue dicendo che “spetta alle autorità fornire una protezione minima a coloro che si trovano bloccati al di fuori dei centri di accoglienza in condizioni invernali in via di deterioramento. Questo include coloro che sono rimasti bloccati nella località di Lipa, ma anche i circa 2.000 altri, costretti a cercare di sopravvivere in edifici abbandonati e campi di fortuna”.

Nel frattempo i migranti hanno trovato soluzioni improvvisate, ma poco sostenibili nel lungo termine, come posare del cartone sul pavimento e installare delle barriere improvvisate per la privacy all’interno dell’unica tenda in piedi del campo di Lipa. Molti sono a rischio ipotermia soprattutto dei piedi. Infatti per arrivare in Croazia, i migranti spesso usano percorsi su una zona montagnosa lungo il confine e hanno accusato le autorità croate di violenti respingimenti, contraddistinti anche dalla contestuale “confisca” delle scarpe.

Quindi mentre si attende l’inchiesta del Mediatore Europeo (che durerà probabilmente anni) sulle violenze della polizia croata e sulle connesse responsabilità europee, e si spera in un’azione delle autorità bosniache (non UE, quindi neanche minimamente vincolate da richieste di sorta della Commissione o di altri organi europei) volta a tutelare la popolazione migrante, migliaia di persone continuano a rischiare la propria vita, a causa anche delle estreme condizioni climatiche, a notevole distanza dal Paese da cui sono fuggiti, sotto l’occhio vigile ma inattivo dei Paesi europei, i quali restano un sogno di speranza, libertà e vita nuova per tutti loro.