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Cura con plasma iperimmune per Covid-19: ecco cosa sappiamo oggi

Milano – Nel pomeriggio di ieri la conferenza stampa presso l’auditorium Testori di Palazzo Lombardia [1], dove Carlo Nicora, direttore generale del Policlinico San Matteo di Pavia, ha illustrato il progetto di studio pilota: “Plasma da donatori guariti come terapia per pazienti critici”, i cui risultati saranno esposti anche in una pubblicazione scientifica che sarà diffusa nei prossimi giorni.

Lo studio

Il titolo scientifico dello studio portato avanti dal Policlinico San Matteo di Pavia, l’Università di Pavia e l’Ospedale di Mantova, è “Plasma da donatori dalla malattia da nuovo Coronavirus 2019 (Covid-19) come terapia per i pazienti critici affetti da Covid-19”, ha avuto inizio lo scorso 17 marzo e si è concluso pochi giorni fa, l’8 maggio.

Il professor Fausto Baldanti, virologo del San Matteo di Pavia, ha evidenziato come la virologia classica ci insegna che è possibile superare un’infezione virale quando l’organismo è in grado di produrre gli anticorpi neutralizzanti. Questi anticorpi riescono a neutralizzare il virus rivestendo la sua struttura superficiale (spike), ovvero quell’elemento che il virus utilizza per entrare nelle cellule e infettarle.

Non avendo a disposizione test precedenti i ricercatori hanno isolato il virus in vitro su cellule umane, osservando come  l’infezione prolifera rapidamente distruggendo le cellule stesse (esattamente come accade purtroppo nei polmoni dei pazienti). Successivamente hanno rilevato che inserendo il siero dei pazienti guariti l’infezione cellulare subisce un arresto.

Ed ecco il primo dato certo, punto di partenza per le fasi successive: esistono anticorpi neutralizzanti all’interno del siero dei guariti.

La titolazione

Baldanti continua affermando che sempre la virologia classica insegna che prima di poter usare il plasma a scopo terapeutico bisogna trovare un’unità di misura che caratterizza la potenza neutralizzante del plasma stesso, soprattutto in virtù del fatto che ogni persona è diversa e quindi può avere una carica più o meno alta di anticorpi neutralizzanti. La stessa letteratura scientifica mostra come in passato chi ha utilizzato il plasma senza prima effettuare questo importante passaggio si è poi trovato dinanzi a risultati sconfortanti.

Per dirla in termini scientifici, è necessario trovare il “titolo”, ovvero il parametro che consente di capire a che livello di diluizione il siero è ancora in grado di uccidere il virus in coltura. I risultati hanno accertato che il rapporto è di 1:640, ovvero il plasma resta efficace diluendolo fino a 640 volte. Baldanti ha concluso che sono state considerate titolazioni efficaci quelle superiori a 160.

Raccolta del plasma

Cesare Perotti, direttore del servizio Immunoematologia al Policlinico San Matteo di Pavia, illustra la fase di raccolta, affermando che deve essere fatta “bene, in sicurezza e in modo rapido”. Gli strumenti che permettono di compiere con questi requisiti sono i separatori cellulari, apparecchiature presenti in almeno 36 centri della Lombardia e che consentirebbero quindi anche una raccolta ampia. Naturalmente bisogna avere la garanzia assoluta che il plasma raccolto abbia gli anticorpi neutralizzanti, dunque per l’individuazione dei donatori è previsto un percorso di triage. I soggetti individuati vengono sottoposti ad accurata visita medica a garanzia della loro stessa sicurezza, poi una volta ritenuti idonei vengono fatti sedere accanto ai separatori cellulari per iniziare la procedura di prelievo. In circa 35 minuti si ottiene una quantità di plasma standardizzato pari a circa 600 ml. Perotti spiega anche il motivo di questo numero, perché si è stabilito che la quantità ottimale per curare un paziente è di 300 ml, in questo modo quindi con un solo prelievo si avrebbero due dosi per quella che lui stesso ha definito una “terapia solidale”.

I pazienti curati con il plasma iperimmune

Il campione individuato per testare l’efficacia della terapia al plasma è costituito da un numero di pazienti limitato, così come impongono le buone pratiche per questo tipo di studi e accertarsi di poter operare in sicurezza. A spiegarlo è il professor Raffaele Bruno, direttore di Malattie Infettive al Policlinico San Matteo di Pavia, che ha anche illustrato i criteri per la selezione. Tutti i pazienti individuati dovevano essere maggiorenni, con tampone positivo, distress respiratorio (difficoltà di respirazione tali da necessitare supporto di ossigeno o intubazione) e radiografia al torace positiva per la polmonite interstiziale bilaterale (nota conseguenza del Covid-19). Sono stati arruolati un totale di 46 pazienti tra Mantova e Pavia, con un solo paziente fuori regione, proveniente da Novara. Sette di questi pazienti erano intubati e tutti avevano necessità di ossigeno, nessuno di loro era in età avanzata.

Risultati e obiettivi raggiunti

Racconta ancora Nicora che quando lo studio ha preso il via, tra la seconda e la terza settimana di marzo, il Ministero della Salute Italiano il giorno 9 segnalava 8.514 persone positive, di cui il 59,2% ricoverati con sintomi, il 10,3% ricoverati in terapia intensiva; il 30,5% in isolamento domiciliare, il 9,9% guariti.

Partendo proprio da questo ultimo dato riguardante i soggetti guariti i ricercatori hanno sviluppato una serie di riflessioni. Anzitutto in letteratura sono presenti dei precedenti circa l’uso del plasma a scopo terapeutico, in secondo luogo i soggetti guariti si trovavano in loco, ovvero nella stessa zona in cui era presente anche il ceppo virale, infine la plasmaferesi è una procedura ubiquitaria facilmente attivabile in molte strutture. Così si è pensato di studiare l’effetto della immunizzazione passiva somministrando anticorpi specifici contro il Coronavirus contenuti nel plasma ottenuto dai soggetti guariti. Ma quanti e quali anticorpi?

A questo punto lo studio pilota si è posto tre obiettivi:

A esporre i risultati è ancora il prof. Baldanti: la mortalità dei pazienti in terapia intensiva, che si attestava tra il 13 e il 20%, è scesa al 6%. Questo vuol dire che si è passati da un decesso atteso ogni 6 persone a un decesso ogni 16 persone. Allo stesso tempo si è avuto un netto miglioramento della situazione respiratoria e un drastico calo della polmonite bilaterale, tutto nell’arco della prima settimana.

? esperienza di Mantova

Raffaello Stradoni, Direttore Generale dell’Azienda Socio Sanitaria Territoriale di Mantova, ha evidenziato come c’è stato un netto cambio di passo quando sono arrivate in struttura le prime sacche da Pavia. Ringraziando l’Università per l’egregio lavoro svolto dal punto di vista scientifico, ha aggiunto che questo studio è stato come un raggio di speranza e si dichiara fiducioso rispetto agli esiti positivi. Quello che più ha colpito il Direttore è stata la facilità nell’applicabilità del trattamento e il fatto che sia ampiamente alla portata di tutti, come dimostra la loro stessa esperienza.

Una banca del plasma iperimmune

A latere della conferenza stampa l’assessore al Welfare, Giulio Gallera, annuncia il lancio da parte della Regione Lombardia della “Banca del plasma iperimmune”. Verrà dunque definito un protocollo per la donazione e successivamente si provvederà alla raccolta del plasma e del sangue. Le Ats (Agenzie di Tutela della Salute) Lombarde contatteranno i pazienti guariti e successivamente Avis, che ha già collaborato nella fase sperimentale con Mantova, procederà con la raccolta a partire dalle aree più colpite.