È un’estate che ha tardato ad arrivare quella del 2019, ma oltre ai fatti meramente meteorologici, quel che comincia a diventare sempre più scottante è la costante diffusione dei discorsi d’odio tramite social, media e la c.d. “vecchia scuola” dei murales e delle manifestazioni.
Tanti gli eventi che si potrebbero analizzare, ma in questa cornice potrebbero essere guardati con attenzione almeno tre recenti.
Il primo è il Gay Pride di sabato scorso. Momento di festa e orgoglio della comunità LGBTQI che ha intasato il centro di Roma per tutto il pomeriggio, con cori, musica e colori.
Da Roma a Milano si passa in fretta invece applaudendo alla denuncia pacifica del Prof. di storia dell’arte dell’Istituto Caterina da Siena, Gianbattista Mannarini. Il prof-artista ha mostrato agli alunni come mettere in pratica gli insegnamenti scolastici della sua materia, coprendo le svastiche, celtiche e frasi “neofascinaziste” (insomma un minestrone di schifezze no-sense) che imbrattavano l’entrata della scuola con delle bandiere color arcobaleno, in rimando ai colori del Pride e della pace. Ha quindi postato il gesto sui Social, ricevendo il plauso dei ragazzi e l’orgoglio di averlo come professore: "Signori, questo qui è il mio prof di storia dell'arte, che tra una lezione e l'altra, prende (moralmente) a calci i fascisti che pensano di poter imbrattare la nostra scuola" (uno dei tanti commenti apparsi, ndr).
Di social in social si arriva all’argomento più spinoso e abusato negli ultimi anni sui veicoli di info/disinformazione: i migranti. Tonnellate di spazzatura gettate sulle persone che attraversano i continenti per giungere verso quella che credono la terra promessa (testimoniato recentemente da un interessante articolo del Fatto Quotidiano sui migranti bengalesi), ricevendo (i politici) numerosi consensi e voti per ogni twit di odio espresso nei loro confronti.
Fortunatamente in alcuni casi questi Hate Speech (utilizzando un termine caro agli anglofoni per indicare il reato di diffamazione caratterizzato dall’impronta dell’odio per una differenza politica, religiosa, razziale o culturale) vengono puniti, o quantomeno giungono davanti a un magistrato. È il caso dei due migranti che nel luglio 2018 avevano “dirottato” un mercantile civile che li stava riportando verso la Libia. Erano colpevoli già prima di mettere piede su suolo italiano (alla faccia della presunzione di innocenza, valida forse solamente oltre un certo scaglione di reddito).
TIJANI IBRAHIM MIRGHANI Bichara e AMID Ibrahim (i nomi dei due giovani e indiscussi dirottatori) erano, nell’ordine, dei “delinquenti”, “violenti dirottatori che dovranno scendere in manette” e dei “facinorosi da punire senza sconti”. Parole al miele che li hanno condotti senza soluzione di continuità dall’imbarcazione Vos Thalassa alla Casa Circondariale “Pietro Cerulli” di Trapani. Dopo 10 mesi, il Tribunale di Trapani ha espresso la sua decisione: il dirottamento non ha costituito reato poiché intrapreso per “legittima difesa”. Quindi, ancora una volta, la Libia è stata considerata un porto non sicuro dai magistrati e luogo dove effettivamente gli stessi avrebbero rischiato la vita (come avevano provato a mimare al comandante del mercantile in sede di dirottamento). Come già detto in precedenza quindi nulla di nuovo. Si è proceduto alla scarcerazione dei due ragazzi. Però vi è una novità. I legali della difesa hanno annunciato che ricorreranno alla Corte EDU di Strasburgo per violazione dell’art.6 della CEDU: il diritto a un equo processo. Infatti gli stessi ritengono che le parole usate (colpevolezza definitiva – poi smontate in Tribunale) nei confronti di due soggetti che potevano essere al massimo imputati di un reato, non sarebbe stato un atto che caratterizza un paese in cui il processo è equo e ragionevole. Gli si può dare contro a tale affermazione?
Da cosa sono dunque riuniti questi esempi? Dalla semplicità e immediatezza del messaggio via social si, ma soprattutto dagli effetti positivi o devastanti che possono avere a seconda del contesto e di chi ne è l’autore. Un professore che insegna civiltà e la non violenza ai propri alunni è da lodare e da finire ogni giorno in copertina a testimoniare la bellezza della pace e dell’armonia. Una manifestazione per i diritti LGBTQI tendente forse all’esasperazione, ma ricca di spunti, avrebbe le potenzialità per spalmarsi nel quotidiano e in termini meno estremi se non vi fosse una chiusura aprioristica nei confronti di chi è “diverso”. Lo stesso vale per i migranti, i diversi per eccellenza. Accendere focolai di odio nelle persone è un fatto riprovevole, a maggior ragione se non fondato su ragioni oggettive. La morale di “al lupo al lupo” la conosciamo tutti, ma difficilmente riusciamo a discernerne il significato nella vita reale e darne il giusto peso. Invece dovremmo. Perché quei due ragazzi, Bichara e Ibrahim, sono innocenti e sono stati giudicati tali da un tribunale di pari, imparziale e composto da persone istruite.
La forza del discorso d’odio (hate speech) d’altronde sta nel non fartici sentire dentro, perché finché l’odio è canalizzato verso qualcun altro, in fin dei conti, non ti tange.