Tra ‘Il rumore della memoria’ e le parole del Papa alla ricerca della dignità e del senso della sofferenza

Un percorso riflessivo personale prendendo spunto dal libro-video “Il rumore della memoria - Il viaggio di Vera, dalla Shoah ai Desparecidos”di Marco Bechis - Corriere della Sera produzione Kartafilm (febbraio 2015), e dal libro 'Camminare con Gesù' di Papa Francesco - Edizioni San Paolo (2015)

Sono entrato da poco in possesso di due prodotti, un DVD ed un libro, che fin dai primi istanti ho avvertito meritassero di non rimanere disgiunti o separati fra di loro, ma in qualche modo avvicinati e collegati se possibile da un fil rouge significativo all’interno del mio mondo interiore e spirituale personale. Da una parte, il documentario-intervista realizzato da Marco Bechis con le testimonianze delle drammatiche esperienze famigliari e personali vissute da dei grandi "sopravvissuti" della storia del XX secolo: Vera Vigevani Jarach, Marco Bechis, Marta Alvarez e Liliana Segre. La proposta di fruizione audio-visiva si pone sicuramente in termini sempre mai troppo poco attuali e importanti: fra le altre, spicca soprattutto perché a me precedentemente sconosciuta, la tragica avventura esistenziale di Vera, donna di origini italiane che oggi vive in Argentina, e che ha perso nel corso della sua vita, in circostanze drammatiche, tanto il nonno che la figlia, senza allo stesso tempo la pur sempre confortante possibilità di avere almeno i resti dei loro corpi, e pertanto anche due tombe alle quali potere fare in qualche modo riferimento. Nonostante questo, la sua memoria non viene meno, anzi, grida, e non a caso il titolo scelto per il film è proprio "Il rumore della memoria"…, vale a dire il dolore di un lontano passato che però non riesce ad auto-archiviarsi come tale, ma diventa e rimane giorno per giorno, presente. Forse non soltanto per non dimenticare, ma anche non "potendo" essere dimenticato.

Dall’altra parte, un volume anch’esso quanto mai importante ed attuale, sulla predicazione e sull’insegnamento profetico e carismatico di Papa Francesco, incentrato nelle sue pagine che vanno a fare coppia con il volume della Chiesa della Misericordia su come rendere il proprio rapporto con il Vangelo e con la Parola di Dio un rapporto di prassi e di esperienza quotidiana, il più possibile estraneo ai filosofismi intellettualistici e agli spesso più facili ma anche molto più sterili processi di astrazione della mente. Sono infatti del parere che per la stragran parte degli esseri umani, eccettuando quegli eventuali quanto poco probabili casi di chi nasce già illuminato ed "imparato" di per sé, l’enigma del confronto a tu per tu con il dolore e con la sofferenza altrui lo si possa comprendere e dipanarlo molte volte soltanto passando attraverso esperienze contraddittorie ed errori imbarazzanti. Già il solo fatto come tale di avere scelto di provarlo e di sperimentarlo questo confronto, questo nebuloso e rischioso tentativo di sconfinamento della propria sensibilità umana oltre sé stessi verso il mondo sempre nuovo ed estraneo dell’interiorità altrui e dei suoi vissuti più sofferti e profondi, comunica l’esistenza della capacità non scontata di sapersi accorgere della presenza dell’altro e di facoltà empatiche che non possono che essere ammirate e lodate, a mio modo di vedere, da tutti i punti di vista, laico e sociale così come religioso e spirituale.

Non siamo atomi né isole, ma uomini, ed eppure nell’era da molti interpretata come l’era della grande solitudine e dell’atomismo esistenziale, di nulla di altro si sente forse maggiormente l’assenza come della capacità da parte di ciascuno di uscire dal proprio egoismo e di andare incontro agli altri, senza l’invisibile laccio di pregiudizi o paraocchi, ma con la confidenza in sé stessi ed il coraggio di chi è consapevole che soltanto in questo incontro potranno trovare un più pieno e vero adempimento le proprie più epidermiche così come più profonde risorse vitali, la propria sete di verità, il proprio bisogno di auto-realizzazione. Ma basterà questo pur imprescindibile e lodevole stato di cose, questa "buona volontà" di fondo, per potere sperare di avere successo nell’incontro/scontro con i drammi altrui e riuscire ad essere davvero di conforto, psicologicamente utili ed efficaci?

Personalmente, ho imparato da mie esperienze fatte nel tempo, che qualsiasi dialogo di amicizia e di vicinanza con la dura esperienza e il trauma della sofferenza, deve necessariamente sapere imparare a rinunciare alla svendita di verità di default nei riguardi di ipotetici interrogativi di senso e di significato in corso, spiegazioni precostituite spesso rifilate un po’ come "ex-cathedra", neanche fossero saldi autunnali, senza autorevolezza, con poca credibilità. Mi vengono in mente a questo proposito due versi del grande cantautore genovese Fabrizio De Andrè, che in una canzone sosteneva che "la gente dà buoni consigli quando si sente come Gesù nel tempio; la gente dà buoni consigli quando non può più dare il cattivo esempio", mentre in un’altra canzone, come in una geremiade esistenziale dei nostri tempi, lamentava: "Troppo, se mi vuoi bene piangi, per essere corrisposti"…

Forse, per potere sperare di trovare, cercando a tentoni, la chiave di accesso al cuore delle sofferenze dell’altro, bisognerebbe passare innanzitutto per questa tappa, avviare un processo di condivisione empatica, addirittura oserei dire donare uno "scialle del pianto" prima ancora di ogni proposta di significato e di ogni verità, naturale o soprannaturale che sia. La sofferenza e il dolore, prima che evocati ed interpellati in un dialogo a tu per tu, dagli esiti del tutto imprevedibili, andrebbero sempre prima di tutto compresi, amichevolmente condivisi, concedendo loro spazio e tempo di esprimersi e di uscire fuori da sé stessi, attraverso e oltre lo spesso muro dell’incomunicabilità, sì, ma anche e soprattutto dell’indifferenza altrui.

Non siamo nati per vivere da soli, ed è paradossalmente proprio nei momenti quando maggiormente le cadute, gli alti e i bassi, le difficoltà apparentemente insormontabili della vita vorrebbero costringerci ad una chiusura serrata in noi stessi, è proprio in quel momento, è proprio allora che urge più che mai uno sforzo centrifugo, piuttosto che centripeto, sforzo che però deve riuscire molte volte prima ancora che a trovare degli interlocutori, ad avvalersi dell’aiuto e della comprensione di qualcuno che riesca con la propria presenza discreta e con il proprio senso della dignità dell’uomo anche nella sofferenza, soprattutto nella sofferenza, a dare avvio a questo coraggioso, creativo e spesso anche terapeutico processo di uscita da sé e di esternazione dei propri contenuti esistenziali e dei propri vissuti emotivi. Forse ancora senza il coraggio di porsi alcuna domanda, o forse invece già con le prime domande di una ricerca di senso del proprio soffrire, ma ancora senza risposte.

Tutto nella vita procede in funzione di un suo divenire naturale che richiede il proprio spazio e i propri tempi. Quando l’empatia interpersonale sarà riuscita a stabilire un rapporto di confidenza reciproca, di amicizia e di credibilità, allora, forse, arriverà anche il tanto atteso e tanto decisivo momento delle grandi domande seguito dai tentativi delle grandi risposte. La possibilità concreta di un grande conforto ed anche di una grande risposta ce la offrono, in qualità di una grande voce autorevole, come da più parti gli è riconosciuto, me compreso, la predicazione e l’esempio del Papa Francesco. Dignità, e non "elemosina", in senso lato, sono due suoi cavalli di battaglia praticamente da sempre.

Proprio il 3 febbraio del corrente anno il Santo Padre ha fatto riferimento, come spesso gli capita di fare, avvalendosi sempre di nuove immagini ed espressioni, nel corso della consueta messa mattutina a Santa Marta, a quanto sia fondamentale per il credente l’instaurazione di un rapporto quotidiano, vivo e costante, con le scene e gli episodi delle Sacre Scritture. È questo sicuramente un grande Papa ed un grande uomo di Dio, perché non ci può essere, a mio modo di vedere, parola profetica più concreta e più essenziale di questa, soprattutto per le particolari necessità dell’uomo contemporaneo, spesso abbagliato e distratto dalle molte apparenti luci della postmodernità, fermo alla superficiale immediatezza dei rapporti con le cose e con le persone, perso nei voraci labirinti delle ricerche e degli studi intellettuali, non più capace di distinguere fra una informazione atomistica ed una conoscenza più profonda, più organica, più personale.

Urge per tutti noi una voce carismatica ed autorevole che ci richiami a gran voce, come sta facendo Lui, all’importanza di una maggiore consapevolezza identitaria di battezzati, che come tali possono e devono mettere in pratica e vivere il Vangelo, camminando con Gesù, e ponendoci in dialogo quotidiano con Lui. Questa è l’unica vera strada possibile per ogni cristiano, the only way out, e allo stesso tempo il solo percorso capace potenzialmente di ammantarci di una credibilità in grado di ricomporre innanzitutto la tanto agognata e quasi utopistica unità fra i cristiani, e poi in grado anche di porci in dialogo con tutto l’umano, con i suoi drammi esistenziali e le sue tragedie, le sue ferite aperte non ancora rimarginate, i suoi dubbi di fede e le sue tante, mille domande che ancora attendono una risposta. Ci sarà un perché alla sofferenza dell’uomo capace di risanare i tanti cuori addolorati? E se si, da chi verrà questa vera risposta? E quando?

Forse, soltanto, camminando giorno per giorno con Gesù e, come diceva Edith Stein, lasciandoci prendere mano nella mano da Lui. Davvero, forse, come dice ancora il Papa, solo l’amore apre davvero gli occhi agli uomini, e forse è questo l’unico vero evento profetico che si possa dire che l’uomo abbia mai tanto a lungo e tanto soffertamente aspettato. Siamo chiamati oggi più che mai a prendere maggiori scelte e decisioni in favore di Dio e della Sua Verità nelle nostre vite. Siamo chiamati a diventare suoi più credibili tramiti ed interlocutori di fronte agli uomini nel mondo. Altrimenti, equivarrebbe come a perdere noi stessi, la nostra natura di uomini creati a sua immagine e somiglianza, proprio in un’epoca nella quale è quanto mai frequente purtroppo assistere al contrario, cioè ad una comunità di uomini che piuttosto sembra cadere nella trappola di pensare a crearlo loro Iddio, "a loro" immagine e somiglianza… con tutto il conseguente bagaglio di illusioni e di sofferenze annesse e connesse.

Urge davvero una rinnovata consapevolezza di chi siamo veramente e di che cosa Iddio voglia da noi, una maggiore è più allenata sensibilità a sentire la nostra chiamata a testimoniare Dio "in spirito e verità", fino alle periferie del mondo, fino al suo riconoscimento in tutti. La carne dell’uomo, di ogni uomo, dice il Papa, è sempre carne di Cristo, e come tale ne viene sopraelevata ad un livello di dignità e di rispettabilità che solamente Cristo può conferire, arrivando oltre l’uomo stesso nella dimensione dello spirito, là dove l’uomo nel corso della storia ha dimostrato di non riuscire a bastare a se stesso e di non poter essere con le proprie sole forze autosufficiente. In fondo, è proprio per questo motivo che importa "camminare con Gesù ", perché il cammino porta sempre verso una certa direzione, o meglio, verso un luogo, in questo caso della psiche e dello spirito umano, dove soltanto Dio può condurci e portarci. Lasciamoci, pertanto, con più fede e vorrei dire proprio con più fiducia, prendere per mano dalla volontà di Dio nella lettura delle sacre scritture e in una loro parcellizzata ma costante meditazione quotidiana.

Michele Steinfl

Michele Steinfl è nato il 26 giugno 1975 a Roma e risiede ad Ostia Lido. Dopo il diploma di maturità scientifica, appassionato dalla possibilità di proseguire gli studi scientifici applicati alla materia vivente e alla salute dell’uomo, si iscrive a Medicina e Chirurgia. Dopo avere frequentato per qualche anno, e avendo avuto tempo e modo di persuadersi come le scienze materiali e le facoltà intellettive possano auspicabilmente diventare mezzi e strumenti piuttosto che fini in sé stessi, comincia a interessarsi ad un’idea di salute e di benessere capace di abbracciare l’uomo integralmente a tutti i livelli, sia psico-fisico che spirituale, intravedendo nella riscoperta della fede e nel revival spirituale una indispensabile chiave per comprendere meglio e più a fondo la completa e reale natura dell’essere umano. Lasciata la Medicina, sente il bisogno di dedicarsi in via esclusiva a studi di cultura religiosa e di teologia, sviluppando progressivamente un vivo interesse oltre che per le proprie radici d’origine, anche nei confronti di popoli, culture e fedi differenti. Attualmente è un ricercatore impegnato sulle frontiere d’avanguardia della teologia comparata e del dialogo interreligioso. Inoltre rivolge particolare interesse alla storia dell’arte con specifico riguardo alla pittura, al cinema e alla musica.

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