Daniel: come nasce e si sviluppa un ciclone mediterraneo.

I cicloni mediterranei non sono una novità, tuttavia la loro frequenza si intensifica a causa del riscaldamento dell’acqua del mare. Il recente ciclone Daniel, che si è abbattuto sulla Libia, lasica un tragico numero di vittime causate dal cedimento di due dighe che non hanno retto la forza della tempesta. Possiamo prevedere questi fenomeni? Quale ruolo può avere l'intelligenza artificiale? Ne parliamo con Jacopo Ramirez Alessandri, ricercatore dell’Università di Bologna.

Roma, 19 settembre 2023 – “Twister-Cacciatori di tempeste” è un film del 1996. Per la critica non è stato un granché, le recensioni dei siti più clementi non superano le due stellette. Eppure è stato campione di incassi, amatissimo dal pubblico e di grande ispirazione per quella parte di generazione millennial che si è dedicata allo studio della meteorologia.

Oltre agli effetti speciali, ad averlo reso così celebre è infatti l’impatto emotivo dell’appassionato tentativo di un gruppo di ricercatori che, dopo innumerevoli fallimenti, riesce a far volare delle palline all’interno del vortice, palline che restituisco dati sulla struttura interna del tornado. Un grande passo per la scienza.

Nel 1996 i fenomeni climatici estremi non erano all’ordine del giorno qui in Italia e guardavamo con stupore le scene disaster movie che caratterizzavano l’intero girato. A distanza di 30 anni la situazione è decisamente cambiata. Da gennaio 2023 in Italia si sono verificate quattro gravi alluvioni che hanno causato 17 morti. La più terribile è stata quella in Emilia Romagna (16 – 17 maggio) durante la quale sono esondati 23 tra fiumi e corsi d’acqua.

Nei giorni scorsi siamo stati lambiti da Daniel, il ciclone che tra il 10 e l’11 settembre è approdato in Cirenaica (Libia). Due dighe hanno ceduto alla violenza dei venti e delle piogge, il conteggio delle vittime è ancora in corso e si teme possa superare le 10.000 persone. Letteralmente spazzate via.

Cosa sono i cicloni mediterranei? Non sono fenomeni nuovi, ne sappiamo poco e li chiamiamo Medicane (Mediterranean hurricane– uragano mediterraneo). Hanno tutte le caratteristiche di un ciclone tropicale ma hanno una dimensione molto ridotta. Traggono energia dal calore del mare, nel nostro caso dal Mar Mediterraneo e l’aumento della temperatura dell’acqua degli oceani e dei mari li rende più frequenti e intensi.

Ne parliamo con Jacopo Ramirez Alessandri, ricercatore dell’Università di Bologna presso il Dipartimento di Fisica attualmente impegnato nello studio della modellistica marina ed è autore della tesi I cicloni di tipo tropicale sul Mediterraneo

Oltre alle piccole dimensioni da cui deriva la difficoltà di osservazione, un altro motivo per cui ne sappiamo relativamente poco è che non sono stati raccolti abbastanza dati per fare una statistica adeguata della loro frequenza; si sa che una o due volte l’anno di solito capitano, alcuni possono fare danni altri meno e sappiamo che i periodi in cui si possono verificare sono settembre e ottobre perché è il momento in cui l’acqua è più calda ma iniziano ad arrivare infiltrazioni di aria fredda e questo è il motore dei cicloni: masse di aria calda in superficie e fredda in quota. L’aria calda tende a salire e a formare delle strutture che danno vita a questo tipo di fenomeni, i cicloni”.

Come si studia un ciclone?

Abbiamo i satelliti, abbiamo i dati che raccogliamo quando passano sulla terra ferma e ci sono dei radar metereologici che raccolgono molte informazioni sulla precipitazione di questi cicloni; inoltre il Mediterraneo è pieno di navi che accettano di avere strumentazione scientifica a bordo e quando un ciclone passa sopra queste navi si hanno delle informazioni prezioso. Avere delle informazioni in mare è fondamentale perché possiamo vedere lo sviluppo di questi cicloni di tipo tropicale – Medicane- sul mare e cioè nel pieno della loro energia, le osservazioni che abbiamo a terra sono in uno stadio in cui il ciclone sta perdendo forza.

È possibile prevedere la formazione di un ciclone?

La prevedibilità è una questione delicata. I fenomeni più sono piccoli in scala più sono difficili da prevedere. Ma la prevedibilità è solo una delle questioni, perché se poi non ci sono le infrastrutture adeguate ad affrontare questo tipo di fenomeni…la previsione da sola non basta, serve un sistema di allertamento, serve un sistema di protezione civile che prepari la popolazione.

Come ci si difende dai cicloni?

Il comportamento che si adotta è quello che si ha quando si affrontano piogge torrenziali perché il rischio del ciclone è quello legato alle inondazioni oltre a quello legato ai venti molto forti. Nei cicloni di tipo tropicale ci sono sia grandi quantità di pioggia che cadono e allo stesso tempo venti molto forti. Come accaduto in Cirenaica dove i venti che spingono l’acqua verso la terra ferma – storm serch- creano un innalzamento del livello del mare proprio sotto la spinta dell’acqua e questo genera delle onde che creano erosione costiera e permettono all’acqua di entrare nella terra ferma.

Quando si dissolve il ciclone?

Come dicevo il ciclone trae la sua energia da quella del mare. Approdando sulla terra ferma perde la sua fonte primaria di energia e la sua struttura verticale tende a rompersi. È così che perde potenza.

L’intelligenza artificiale può contribuire allo sviluppo di modelli di previsione?

Ci sono tanti modi in cui l’intelligenza artificiale o machine learning può essere utile. Consideri che tutti i modelli sono delle approssimazioni della realtà; e se si vuole ricostruire la realtà tramite modelli c’è una scelta di parametri che sono arbitrari e molto ampi. Il machine learning ci può venire in contro individuando i valori migliori per questi parametri.

Sono stati pubblicati degli articoli che mostrano come dei modelli basati sull’intelligenza artificiale ottengano performance migliori nella previsione metereologica. Mi spiego: gli algoritmi hanno bisogno di un periodo di tempo che si chiama training durante il quale gli algoritmi si ottimizzano. Terminato il training, questi algoritmi si possono utilizzare anche per fare delle previsioni perché hanno imparato da un bagaglio di esperienze che riescono ad elaborare in maniera migliore.

Da una parte ci sono modelli basati sulle leggi della fisica, sulle equazioni che descrivono il moto dei fluidi che sono la cosa più vicina alla realtà che possiamo avere ma che dal punto di vista computazionale sono molto pesanti, in termini di calcolo ed uso delle risorse.

Dall’altro ci sono questi modelli di intelligenza artificiale che hanno bisogno di un periodo di training lungo ma che poi una volta ottimizzati riescono ad avere una previsione con un uso di risorse bassissimo.

Le due cose non si escludono a vicenda, i modelli di intelligenza artificiale avranno comunque bisogno di un dataset basato su dei modelli che descrivono le leggi della fisica in maniera rigorosa per avere un training e questo è un esempio di come si usa l’intelligenza artificiale.

Foto di NASA su Unsplash

Stampa Articolo Stampa Articolo