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Ambiente. Rete Natura 2000: ZPS e ZSC a Messina: Istituto Nazionale di Bioarchitettura fa chiarezza

Messina, 1 ottobre 2020 – L’applicazione della normativa europea in materia ambientale in Italia ha dato vita a una serie di norme molto stringenti. Nel territorio del Comune di Messina, in particolare, esistono tre siti di Rete Natura 2000: una ZPS e due ZSC. Per tali aree è stato redatto un unico Piano di Gestione “Monti Peloritani”.

Sulla scorta di un confuso panorama normativo, l’Istituto Nazionale di Bioarchitettura, tramite il suo Presidente Anna Carulli, e l’IRSSAT, il Vice Presidente della Consulta Ambiente Rosanna Costa e il componente del Comitato Scientifico Vincenzo Piccione, in una nota articolata, sostengono che, per dirimere la corretta identificazione degli habitat, occorrono figure professionali con competenze specialistiche geobotaniche. Per il “caso Messina” non esistono in atto altre modalità di valutazione della significatività delle incidenze sugli habitat. La divisione in 18 siti (compreso il sito Q) è destituita da ogni fondamento scientifico. È un mero esercizio di divisione arbitraria (comunque non su base naturalistica) del territorio. Inoltre, non può essere invocato il Principio di Precauzione perchè nei tre siti è quasi impossibile soddisfare gli 11 principi della norma.

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Contesto 

SULL’USO IMPROPRIO DEL PRINCIPIO DI PRECAUZIONE

E DI CRITERI URBANISTICI SU ZSC e ZPS

ANNA CARULLI(1), ROSANNA COSTA(2) e VINCENZO PICCIONE(3)

(1) Presidente Nazionale – Istituto Nazionale di BioArchitettura

(2) Vicepresidente Consulta Ambiente IRSSAT

(3) Componente Comitato Scientifico IRSSAT

Le relative problematiche scaturite dalla trasposizione ed applicazione della normativa europea in Italia, evidenziando la stretta connessione con il potere pianificatorio della pubblica amministrazione. L’obiettivo comunitario trova ispirazione nella ritenuta necessità di realizzare una più concreta e coerente protezione ambientale, che sia in grado di tutelare con maggiore efficacia quello che viene definito “patrimonio ambientale dell’Unione Europea”.

Tale approccio, al fine di superare sia il precedente sistema delle aree protette – tra loro isolate -, nonché il frazionamento territoriale. Gli organi comunitari, prendendo le mosse dall’imponente processo normativo nato in seno alla Comunità internazionale – che ha prodotto un innumerevole quantitativo di accordi, convenzioni, trattati sulle più disparate questioni di natura ambientale –, hanno dato il via ad una propria politica ambientale attraverso una serie di misure di salvaguardia particolarmente stringenti per gli Stati membri. È proprio infatti sulla scorta di tale frammentario – e talvolta confuso – panorama normativo internazionale che necessità fare chiarezza sulle procedure.

INTRODUZIONE

Natura 2000 è una rete di aree designate dal Consiglio dei Ministri dell’Unione Europea per la conservazione della diversità biologica e localizzate nel territorio dell’Unione. I siti che compongono la Rete sono distinti in zone di protezione speciale (ZPS), individuati ai sensi della Direttiva “Uccelli” 79/409/CEE e in Siti di Importanza Comunitaria (SIC), identificati ai sensi della Direttiva “Habitat”; i SIC al termine di un processo di selezione e designazione, entro i termini di uno specifico iter temporale, sono designati come zone di conservazione speciale (ZSC).

La Rete tutela habitat e specie animali e vegetali individuati negli elenchi di specie di cui gli allegati I e  II della Direttiva e contribuisce, insieme al sistema esistente di aree protette, Parchi e Riserve naturali, alla conservazione del Capitale naturale.

Elemento innovativo introdotto dalla Direttiva è che la conservazione della biodiversità e degli habitat deve essere realizzata tenendo conto dell’integrazione della tutela di habitat e specie con le attività economiche e con le esigenze sociali e culturali delle popolazioni che vivono all’interno delle aree che fanno parte della rete Natura 2000.

IL CASO COMUNE DI MESSINA

Nel territorio del Comune di Messina sono stati individuati tre siti della Rete Natura 2000, una ZPS ITA030042 che ingloba le due ZSC ITA030011 e ITA030008.

La ZSC ITA030011 Dorsale Curcuraci, Antennamare è stata istituita originariamente come ZPS cfr. D.M. 3.04.2000 poi proposto anche come pSIC con D.M. 25.03.2005 e come S.I.C. con D.M. 5.07.2007, quindi designato come Z.S.C. con D.M. 21/12/2015 – G.U. 8 del 12-01-2016, occupa una superficie di ha 11483. Le coordinate del sito sono E 15 29 N 38 11 e la superficie ricadente all’interno del territorio comunale è pari a circa 8.110 ha.

La ZSC ITA030008 Capo Peloro – Laghi di Ganzirri, istituita originariamente come ZPS cfr. D.M. 3.04.2000

poi proposto anche come pSIC  con D.M. 25.03.2005  e come S.I.C. con D.M. 5.07.2007, quindi  come Z.S.C. con

D.M. 21/12/2015 – G.U. 8 del 12-01-2016, è allo stesso tempo Riserva Naturale Orientata. La ZSC interessa una

superficie di ha 60.0 e le coordinate di riferimento sono E 15 37 N 38 15.

La ZPS ITA030042 – Monti Peloritani, Dorsale Curcuraci, Antennamare e area marina dello stretto di Messina, ratificata originariamente con D.M. 5.07.2007 cfr. disposizione ARTA pubblicata su GURS n. 31 del 22.07.2005, interessa complessivi ha 27.993 di cui circa 14.959 ha ricadenti nel territorio del Comune di Messina.

Per tali aree è stato redatto un unico Piano di Gestione “Monti Peloritani” approvato definitivamente con D.D.G. n. 286 del 27.05.2010.

Il Dipartimento Politiche del Territorio – SIT del Comune di Messina a seguito della localizzazione delle Valutazioni di Incidenza Ambientale rilasciate dal 2007 al 2016 ha studiato l’incidenza degli impatti cumulativi sui siti della Rete Natura 2000.

Dallo studio è emerso che il consumo di suolo negli habitat interessati, compresi quelli di interesse comunitario e prioritario, è pari allo 0,234% – al di sotto dell’1% (con la sola ovvia eccezione dell’habitat

86.11 – Tessuto residenziale compatto e denso (Sistemi umani intensivi), nel quale risulta un indice comunque inferiore all’1,5%).

Gli estensori dello studio dichiarano che non si è ritenuto di dover approfondire il consumo di suolo per ciascun habitat, ma si è preferito andare ad una suddivisione del territorio di maggior dettaglio per meglio evidenziare eventuali criticità.

Decidono di analizzare il consumo di suolo negli habitat a livello di aree sub-comunali, ossia le 6 Circoscrizioni di Decentramento Comunali. Rilevano che si mantiene sempre al di sotto della soglia dell’1%.

Decidono di approfondire lo studio del consumo di suolo negli habitat suddividendo ulteriormente il territorio comunale in 18 siti (etichettati: Sito “A”, Sito “B”, …… Sito “T”) articolazione adottata, a suo tempo, dai progettisti del P.R.G. vigente (approvato nel 2002) per il dimensionamento urbanistico del piano.

Si legge nel testo In tal modo si è potuto evidenziare una concentrazione di interventi autorizzati nel sito

“Q” con un consumo di habitat del 1,30%.

Nel sito Q l’habitat di interesse comunitario 6220* Percorsi sub-steppici di graminacee e piante annue dei Thero-Brachypodietea presenta un consumo di suolo del 2,62%.

L’Habitat in questione nella sua definizione generale e complessiva raggruppa tipologie di prateria xerofila piuttosto variabili per fisionomia e struttura costituite da un mosaico di vegetazione emicripto-camefitica frammista a terofite di piccola taglia, che compiono il loro ciclo vegetativo durante la stagione piovosa primaverile, su substrati di varia natura, talora soggetti ad erosione, con distribuzione prevalente nei settori costieri e subcostieri dell’Italia peninsulare e delle isole, diffuse in aree a clima Mediterraneo ma occasionalmente anche in aree interne, in ambiti a macrobioclima temperato (var. submediterranea), in corrispondenza di condizioni edafiche e microclimatiche particolari. Entrando nel merito delle cenosi, l’habitat è rappresentato sia da aspetti perenni termofili e subnitrofili riferibili alle classi Poetea bulbosae Lygeo- Stipetea sia da aspetti annuali riferibili agli Helianthemetea guttati ed entrambe le tipologie sono presenti in faces di mosaico.

Inoltre, tali praterie possono essere primarie e rappresentare stadi iniziali (pionieri) di colonizzazione su pendii sassosi e cenge rupestri ma più spesso esse sono interpretabili come uno stadio di degradazione avanzata favorito dall’incendio periodico e dal sovrapascolamento delle formazioni arbustive di macchia mediterranea e

gariga al termine di processi regressivi.

Al fine di evitare una interpretazione distorta degli habitat, definire le criticità e pervenire alla definizione dello stato di conservazione reale, da cui discende la modulazione degli interventi e la valutazione degli impatti reali sull’ambiente derivanti dalla eventuale attuazione delle opere, è indispensabile, tenendo conto che non è possibile generalizzare ed estendere le conoscenze scientifiche acquisite per le medesime tipologie di habitat individuate per altri siti, che vengano effettuati studi botanico-vegetazionali, localizzati e sito-specifici eseguiti da figure altamente specialistiche.

L’individuazione degli habitat avviene con riferimento vegetazionale e si basa sulla composizione, struttura e processi delle comunità vegetali presenti, che vengono approcciati con metodo fitosociologico e con riferimento alla sintassonomia delle cenosi individuate. Il metodo fitosociologico (Braun-Blanquet, 1964) consente di pervenire ad una caratterizzazione fitosociologica e ad una individuazione chiara ed univoca degli habitat con definizione della posizione della comunità fitocenotica nella serie di vegetazione a questo ascritta. La VI Direzione Ambiente di Messina da tempo esprime PARERE PREVENTIVO NEGATIVO ad intervenire sul territorio, sulla base di uno studio redatto dal Dipartimento Politiche del Territorio del Comune di Messina che avrebbe evidenziato un consumo di habitat maggiore del 1,00% nel sito “Q” all’interno del quale i progetti contribuirebbero “… alla determinazione dell’eccedenza del sopra riportato limite dell’1% indicato nelle linee

metodologiche della Commissione Europea; …”.

Nelle more dell’esame da parte dell’Assessorato Regionale Territorio ed Ambiente di una “… Variante parziale di salvaguardia redatta dallo stesso Comune di Messina relativa all’ipotesi di declassificazione di tutti i terreni edificabili presenti all’interno della area suindicata …” si ritiene opportuno adottare il Principio di Precauzione ai sensi dell’art. 301 del D.Lgs. n° 152/2006.

PRINCIPIO DI PRECAUZIONE

Proviamo ad esaminare quando si ha ragione nell’invocare il principio di precauzione, citato nell’art. 191 del [1] Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (UE) [1], persegue un alto livello di protezione dell’ambiente grazie a delle prese di posizione preventive in caso di rischio.

Per rischio ambientale ci si riferisce alla probabilità che si abbia un danno in seguito all’esposizione ad un pericolo ambientale.

Un pericolo ambientale è qualsiasi fonte di possibile danno ambientale. Un rischio può essere evitato oppure può essere minimizzato.

Per evitare o minimizzare un rischio è necessario effettuare un’accurata analisi del rischio, ossia una valutazione del rischio e il controllo del rischio.

La valutazione del rischio, sia di tipo qualitativo che quantitativo, comprende l’identificazione del pericolo, attraverso ricerche scientifiche e raccolta di dati, l’analisi della risposta, l’analisi dell’esposizione al rischio, la caratterizzazione del rischio.

Secondo la Commissione Europea [2], il principio  di precauzione può essere invocato quando un fenomeno, un prodotto o un processo può avere effetti potenzialmente pericolosi, individuati tramite una valutazione scientifica e obiettiva.

Il ricorso al principio di precauzione è giustificato solo quando riunisce tre condizioni, ossia:

  1. identificazione degli effetti potenzialmente negativi;
  1. valutazione dei dati scientifici disponibili;
  2. ampiezza dell’incertezza scientifica.

Tre principi specifici devono sottendere il ricorso al principio di precauzione:

  1. valutazione scientifica, la più completa possibile e la determinazione, nella misura del possibile, del grado d’incertezza scientifica;
  2. valutazione del rischio e delle conseguenze potenziali dell’assenza di azione;
  3. partecipazione di tutte le parti interessate allo studio delle misure di precauzione, non appena i risultati dalla valutazione scientifica e/o della valutazione del rischio sono disponibili.

Principi generali della gestione dei rischi:

  1. proporzionalità tra le misure prese e il livello di protezione ricercato;
  2. non discriminazione nell’applicazione delle misure;
  3. coerenza delle misure con quelle già prese in situazioni analoghe o che fanno uso di approcci analoghi;
  4. esame dei vantaggi e degli oneri risultanti dall’azione o dall’assenza di azione;
  5. riesame delle misure alla luce dell’evoluzione scientifica.

CONSIDERAZIONI

La negata realizzazione di interventi edilizi su modesti lotti residui all’interno di un centro urbano edificato non previene alcun rischio anche solo potenziale per la salute pubblica, per la sicurezza e per l’ambiente in generale.

Di contro, il mantenimento di tali aree in situazione di abbandono e degrado non favoriscono né la tutela della salute pubblica, né la sicurezza né tantomeno l’ambiente.

Il ricorso al principio di precauzione interviene unicamente in un’ipotesi di rischio potenziale.

La valutazione dei rischi comprende quattro componenti: l’identificazione del pericolo, la caratterizzazione

del pericolo, la valutazione dell’esposizione e la caratterizzazione del rischio.

Il ricorso al principio di precauzione presuppone l’identificazione di effetti potenzialmente negativi e la

valutazione scientifica del rischio. Le misure non possono basarsi su elementi arbitrari.

Invocare il principio di precauzione non consente di derogare ai principi generali di una buona gestione dei rischi, ossia: la proporzionalità, la non discriminazione, la coerenza, l’esame dei vantaggi e degli oneri derivanti dall’azione o dalla mancanza di azione, l’esame dell’evoluzione scientifica.

La valutazione di dati scientifici relativi ai rischi è un elemento necessario per ricorrere al principio di precauzione.

Il principio di precauzione non può in nessun caso legittimare l’adozione di decisioni arbitrarie.

Il principio di non discriminazione vuole che situazioni comparabili non siano trattate in modo diverso e che situazioni diverse non siano trattate in modo uguale, a meno che tale trattamento non sia obiettivamente giustificato.

Le aree che compongono la Rete Natura 2000 non sono riserve rigidamente protette dove le attività umane sono escluse; la Direttiva Habitat intende garantire la protezione della Natura tenendo anche “conto delle esigenze economiche, sociali e culturali, nonché delle particolarità regionali e locali” (Art. 2)”.

Lo studio di complementarietà, richiesto dalla Regione è stato eseguito sul territorio comunale, del sito ITA030042, con l’esclusione dell’area marina (14.959 Ha sui complessivi 27.994 Ha dell’intero sito).

Gli interventi edilizi autorizzati e compresivi dei non attuati incidono, in termini di consumo del suolo, per lo

0,234% dell’intera superficie.

Il consumo degli habitat comunitari è, a sua volta, lo 0,133% dell’intera superficie.

Tutte le analisi, le valutazioni e i dati riportati nelle guide metodologiche e nei documenti di approfondimento pubblicati dal Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare fanno sempre riferimento ad un intero sito e mai a porzioni di esso.

Una analisi su parti delle ZSC o ZPS, comunque individuate, possono restituire informazioni improprie sulla

significatività delle incidenze sugli habitat.

Tutti i piani e/o progetti esitati nel periodo 2007/2015 sono stati assoggettati a Valutazione di Incidenza, ex art. 5 del D.P.R 357/97, ossia alla verifica preventiva delle possibili incidenze significative (singolarmente o congiuntamente ad altri piani e progetti).

Ebbene lo stato di conservazione del sito ITA030042 è risultato sempre soddisfacente in rapporto al suo stato originario, tant’è che non è mai stata attivata alcuna azione mitigatrice (oltre quelle previste nelle singole valutazioni) e/o compensativa.

È improprio suddividere il Sito ITA030042 in più zone specie se fatta senza alcuna scientificità e in base a criteri assolutamente non riconducibili a quelli ambientali.

Dividere la ZPS in settori coincidenti con le zone censuarie utilizzate nella redazione della Variante al PRG per bilanciare sul territorio gli standard urbanistici, equivale a dividerla secondo i confini dei quartieri o in zone coincidenti con i fogli catastali o con le tavole aerofotogrammetriche, tutto ma non secondo criteri naturalistici. La “scelta”, già di per sé non in linea con quanto su riportato, non tiene in nessuna considerazione le previste misure di mitigazione che, per definizione, sono finalizzate a ridurre al minimo o addirittura ad annullare l’impatto negativo di un p/p sull’habitat e le stesse soluzioni progettuali alternative, senza dimenticare che si possono prevedere opportune misure compensative. Scelta che non ha alcun fondamento scientifico, ma

soggettivo e ispirato dal risultato che si vuole ottenere.

CONCLUSIONI

L’articolazione in 18 siti del territorio è illegittima in quanto incrocia logiche pianificatorie con logiche di habitat – procedura di cui non si ha traccia alcuna nella letteratura vigente in materia e oltremodo mortifica l’utilizzo dello strumento della Valutazione d’Incidenza Ambientale che a livello europeo, non solo italiano, è sempre legittima e nessuno, a meno che non sopravvenga una nuova direttiva comunitaria e un conseguente recepimento legislativo nazionale, può delegittimarne l’uso per interventi da realizzare su aree della Rete Natura 2000;

Con la divisione in 18 sub-siti le zone confinanti – con stessa tipologia di habitat – registrano incidenze percentuali che passano da valori sopra soglia (1,3% circa) a valori pressoché nulli;

Il principio di precauzione invocato è di difficile applicazione in quanto non è facile dimostrare che ricorrono

gli 11 principi generali e specifici di cui al paragrafo D);

Considerando il sito in questione, è possibile ricondurre le minacce principali per l’habitat 6220* a TRE tipologie: Pascolamento, Incendi e Specie Invasive. Minacce che hanno una matrice in comune, l’assenza di attività da parte dell’uomo che comporta la mancanza di manutenzione intrinseca del sito. L’alternativa zero, cioè quella di “non attività”, conduce all’abbandono delle aree con conseguente innesco di quei fenomeni di erosione, presenza di rifiuti, pascolamento abusivo, condizioni di degrado e banalizzazione delle cenosi, ingresso di specie esotiche invasive e altro. Tali fenomeni comportano l’alterazione della struttura e funzione

dell’habitat e implicano perdita di qualità dei luoghi e dei servizi ecosistemici, non venendo questi più forniti dagli habitat e dalle specie in essi presenti, poiché non più conservati in uno stato soddisfacente. In generale, diventa indispensabile consentire le attività e impegnarsi nella predisposizione e attuazione di tutte quelle misure in grado di garantire l’immersione delle opere nel territorio e l’integrazione delle attività economiche con la tutela di habitat e specie. Ciò richiede uno studio specifico, e si ribadisce specialistico, che deve avvenire caso per caso.

Gli estensori dello studio a cura del Dipartimento Politiche del Territorio – SIT del Comune di Messina riconoscono che Il significato …. potrebbe tuttavia essere condizionato dalla scelta del sito (area di indagine) che non è stato selezionato in modo omogeneo rispetto  agli habitat rappresentati  sul  territorio  comunale per cui esiste la possibilità di avere valori sito-dipendente. Tuttavia tali valori devono comunque essere considerati, seppur sotto il profilo qualitativo, quali segnali di attenzione.

La Commissione VIncA del Comune di Messina nella seduta del 02.04.2015 ammette che …Tale valore però è solo indicativo, in quanto la valutazione deve considerare la tipologia dell’habitat, il rango di priorità, la sua distribuzione e il proprio stato di conservazione sia all’interno del sito che complessivamente nella sua ripartizione per Regione Biogeografica a livello regionale, nazionale e comunitario. Detto valore deve quindi essere considerato in rapporto all’estensione e alla distribuzione a scala locale di tale tipologia di habitat, nonché  del  suo  trend  di incremento  o di declino  a livello  nazionale,  come  espresso  dai rapporti  di monitoraggio effettuati ogni sei anni.

La Direzione Generale per la Protezione della Natura e del Mare – DPNM, del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare si è espressa in modo chiaro su come valutare la significatività delle incidenze sugli habitat Per un corretto calcolo delle percentuali di area interferita, occorre rappresentare il rapporto tra le superfici degli habitat coinvolti dall’intervento e quelle totali degli habitat presenti nel sito nonché, per ogni habitat specifico interessato, sia di interesse comunitario che di specie, il rapporto tra la superficie interferita e la superficie ante operam.

Lo stesso valore dell’1% deve essere considerato solamente indicativo, in quanto la valutazione deve considerare la tipologia dell’habitat, il rango di priorità, la sua struttura e funzionalità, distribuzione e il proprio stato di conservazione sia all’interno del sito che complessivamente nella sua ripartizione per Regione Biogeografica, a livello regionale, nazionale e comunitario.

Detto valore deve quindi essere considerato in rapporto all’estensione e alla distribuzione a scala locale di

tale tipologia di habitat, nonché del suo trend di incremento o di declino.

Ciò vuol dire che, qualora un p/p interferisca su una porzione di Sito solo verso tipi di habitat o di specie diverse da quelle di interesse comunitario, detti effetti, sia diretti che indiretti, possono non costituire pregiudizio ai fini dell’art. 6.

L’obiettivo dell’integrità del sito è comunque riferito solo allo stato di conservazione di habitat e specie di interesse comunitario.

L’articolo 1 della Direttiva Habitat lettera e definisce lo “stato di conservazione” di un habitat naturale “soddisfacente” quando la sua area di ripartizione naturale e le superfici che comprende sono stabili o in estensione, la struttura e le funzioni specifiche necessarie al suo mantenimento a lungo termine esistono e possono continuare ad esistere in un futuro prevedibile e lo stato di conservazione delle specie tipiche è considerato soddisfacente ai sensi della lettera i.

CONCLUSIONI

Muovendo dal caso specifico relativo all’habitat 6220*, ma l’approccio metodologico vale per tutti gli habitat della Rete, attraverso lo studio fitosociologico è possibile distinguere le superfici ove la vegetazione che caratterizza il 6220* consente di individuare le fitocenosi riconducibili a situazioni di rilevanza conservazionistica. Infatti, la conservazione delle fitocenosi del 6220* è solamente in alcuni casi meritevole di specifici interventi e tali casi, quando individuati, andrebbero valorizzati e trattati in modo appropriato.

Nella sua formulazione, il 6220* lascia spazio a interpretazioni molto ampie che comprendono tipologie molto diverse che solamente in alcuni casi risultano essere di pregio naturalistico ma che più spesso sono aspetti banali e ad ampia diffusione nell’Italia mediterranea. Come evidenziato, molte di queste fitocenosi sono in realtà espressione di condizioni di degrado ambientale e risultato di un uso del suolo intensivo e ad elevato impatto, che spesso innescano fenomeni erosivi di entità tale da compromettere persino la sopravvivenza delle specie tipiche dell’habitat in questione. Discriminare le fitocenosi di qualità da quelle banali è fondamentale per guidare una gestione corretta e consapevole, coerente con gli obiettivi di salvaguardia e valorizzazione degli elementi di qualità e di riqualificazione di un territorio.

La superiore dissertazione, in conclusione, possiamo sintetizzarla in tre riflessioni:

  1. figure professionali con competenze specialistiche geobotaniche diventano indispensabili per dirimere la corretta identificazione degli habitat, la valutazione approfondita degli aspetti sito- specifici e delle più ampie connessioni sistemiche a scala vasta, la determinazione delle dinamiche vegetazionali in atto e l’appropriata stima della significatività delle incidenze sugli habitat;

e con riferimento al territorio del Comune di Messina nel quale insistono tre siti della Rete Natura 2000 (una ZPS ITA030042 che ingloba le due ZSC ITA030011 ITA030008):

  1. non esistono in atto altre modalità di valutazione della significatività delle incidenze sugli habitat. La divisione in 18 siti (compreso il sito Q) è destituita da ogni fondamento scientifico. È un mero esercizio di divisione arbitraria (comunque non su base naturalistica) del territorio;
  2. il Principio di Precauzione non può essere invocato (nei tre siti è quasi impossibile soddisfare gli 11 principi generali e specifici di cui al paragrafo D) e comunque nel caso specifico del sito Q.