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Australia in fiamme e climate change

Immagini come queste ci riportano ai film di fantascienza, a quelli catastrofici, ma sono drammaticamente reali. Il mondo, negli ultimi anni, continua a perdere in maniera vertiginosa milioni di ettari di foreste e di animali.  

Secondo il ricercatore dell’Università degli Studi di Milano, Giorgio Vacchiano, autore del saggio La resilienza del bosco, da ottobre a oggi è andata perduta in Australia una superfice doppia a quella degli incendi del 2019 in Siberia e Amazzonia combinati. Un altro aspetto inedito è la simultaneità dei fuochi su territori enormi, il ricercatore sottolinea poi stanno bruciando soprattutto foreste di eucalipto e del bush, una savana semi arida con alberi bassi, simile alla macchia mediterranea, una vegetazione che è nata per bruciare per via del clima australiano.

Afferma Vacchiano: “Gli incendi causati dai fulmini sono stati così frequenti da costringere le piante a evolversi per superarli nel migliore dei modi: lasciarsi bruciare! Il fuoco infatti, se da un lato distrugge la vegetazione esistente, dall’altro apre nuovi spazi perché le piante si possano riprodurre e rinnovare”. Gli incendi più grandi tendono tuttavia a essere causati dai fulmini e, probabilmente, non da piromani. In molti oggi continuano a negare il problema del clima, il 2019 è stato in Australia l’anno più caldo e più secco mai registrato dal 1900 a oggi, la straordinaria siccità australiana è stata generata da una rara combinazione di fattori.

Secondo Vacchiano: “Il primo anello della catena è El Niño, un riscaldamento periodico del Pacifico meridionale che causa grandi cambiamenti nella meteorologia della Terra, ma quest’anno El Niño non è attivo. Si è invece verificato con una intensità senza precedenti un altro fenomeno climatico, il Dipolo dell’oceano Indiano (IOD) – una configurazione che porta aria umida sulle coste africane e aria secca su quelle australiane. È dimostrato che il riscaldamento globale può triplicare la frequenza di eventi estremi nell’IOD”.

Il cambiamento climatico in azione sul nostro pianeta c’entra eccome, nella fattispecie australiana, inoltre, bisogna considerare che l’economia australiana è basata principalmente sull’estrazione e l’esportazione di carbone, un combustibile fossile la cui estrazione non è compatibile con il raggiungimento degli obiettivi di Parigi per contenere la temperatura della Terra al di sotto di 1.5 °C rispetto all’epoca preindustriale. L’attuale governo conservatore, come in altre parti del mondo, è tendenzialmente restio a de-carbonizzare l’economia nazionale. Ma è un problema mondiale.

Tra il 2030 e il 2050 la temperatura globale aumenterà di 1.5 gradi che si tradurrà in un aumento della mortalità legata al caldo. Ondate di calore e città sovraffollate. Un cambiamento così non si ferma facilmente, il riscaldamento globale causato dalle emissioni umane durerà per secoli o millenni. Secondo gli esperti del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC) “anche ipotizzando la completa applicazione di tutte le misure dell’accordo di Parigi, il riscaldamento globale raggiungerà i 3 gradi intorno al 2100 per poi crescere ancora”.

Cosa possiamo fare? Ridurre le nostre emissioni con comportamenti collettivi e ad alto impatto. Il climate change è ormai realtà.